Un geniale inconcludente ossessionato dall’impossibile

Forcellino: “una vita segnata dall’inseguimento dell’impresa memorabile deluse numerosi committenti dissipando molto del proprio talento pittorico”

La riproduzione di una delle macchine militari proposte da Leonardo

La riproduzione di una delle macchine militari proposte da Leonardo

In un giorno autunnale del 1513, Leonardo Da Vinci attraversava il foro romano, tramortito dalla grandiosità e dalla bellezza dei monumenti antichi. L’emozione è fortissima, tanto forte da stimolargli una considerazione che illumina la sua intera vita e lo spinge a trascurare ciò per cui tutti lo adorano, la sua pittura. Leonardo considera quanto sarebbe stata grande la gloria per quell’uomo che avesse fornito ai romani, un’arma che li avesse resi ancora più grandi. Lo fa riflettendo sugli onori tributati dai romani al grande Archimede che con i suoi specchi ustori aveva combattuto contro i romani stessi e annota i suoi pensieri: “Chi avesse trovata l’ultima valitudine della bombarda in tutte sua varietà e presentato tale segreto alli Romani, qual con equal presteza arebon conquistato ogni terra e superato ogni esercito, e qual premio era che potessi equiparare a tanto beneficio?”. Per tutta la vita Leonardo tenta di inventare macchine belliche straordinarie o almeno opere civili in grado di testimoniare il suo genio. Si offre a Ludovico il Moro con una lettera in cui vanta apparecchi militari formidabili. Ripropone i suoi servigi militari alla Repubblica di Venezia nel 1500 e tenta di offrire le sue doti di stratega militare alla repubblica fiorentina nell’anno successivo per finire al servizio del terribile Cesare Borgia nel 1503, poco prima che questi crollasse sotto il peso delle ambizioni della propria famiglia. Disperato, si offre al sultano di Istanbul Bayazid II con la promessa di costruire un ponte che colleghi Galata a Istanbul. Ma anche questa volta l’impresa finisce nel nulla. L’INTERA VITA di Leonardo può leggersi come l’inseguimento dell’impresa memorabile. Se non che l’altro aspetto di questa ambizione è la dissipazione del talento e l’inconcludenza pratica che lo emargina dalla scena artistica e intellettuale, soprattutto negli ultimi due decenni di vita. Leonardo fin dai suoi esordi appare come un pittore formidabile, il primo dei pittori italiani. Il suo talento è così manifesto che neppure una denunzia per sodomia scagliatagli contro da un anonimo censore dei costumi fiorentini nell’aprile 1476 riesce a dissuadere Lorenzo de' Medici e la signoria fiorentina dall’affidargli un’opera di grande rilievo pubblico, una pala per la cappella di San Bernardo nel Palazzo Vecchio. Un dipinto che Leonardo non porterà mai a termine lasciando nella disperazione i suoi committenti. Questa modalità di dispersione del talento pittorico accompagnerà tutta la carriera di Leonardo. È come se, spinto dalla necessità, desse prova del suo genio pittorico solo per ritirarsi subito dopo a coltivare le sue ambizioni impossibili. Quando a Milano presenta la sua prima opera completa, la Vergine delle Rocce intorno al 1485, la sua posizione diventa quella del primo pittore d’Italia e il giovane duca di Milano si affretta a proporre ai propri ambasciatori di regalare al Re di Ungheria, Mattia Corvino, un dipinto di Leonardo per catturare i favori del Re. Ma Leonardo non è dello stesso parere, mettendo in imbarazzo governi e principi d’Italia. QUASI COSTRETTO con le minacce a finire il dipinto del Cenacolo, alla fine degli anni, Novanta Leonardo consegna ai milanesi e agli italiani un’altra prova stupefacente del suo talento pittorico. Ma a partire da quella data sarà impossibile avere dall’artista anche il più piccolo dipinto. Si dispera Isabella d’Este che aveva ospitato l’artista, ricevendone un ritratto che non diventerà mai pittura. Si dispera la Signoria fiorentina che gli ha appaltato in competizione con Michelangelo una scena di battaglia sulle pareti di Palazzo Vecchio, che rimarrà solo accennata e perirà in poco tempo. Si dispera il re di Francia Luigi XII che ingiunge alla Signoria di Firenze perché lasci libero Leonardo di tornare a Milano per poterlo servire di un quadro. LEONARDO è conteso per la sua pittura, ma continua a negarla a tutti per occuparsi di altro e compilare faldoni di carta in cui annota osservazioni sulla matematica, l’anatomia, l’idraulica, la meccanica e l’ottica. Ma il mondo vuole i suoi dipinti, non la sua scienza. E quando l’artista in un ultimo tentativo di trovare un committente si reca a Roma ospite del fratello del papa, Giuliano de' Medici, la società romana assiste sgomenta alla sua indifferenza per la pittura, al punto che Baldassarre Castiglione ci consegnerà un ritratto dell’uomo testimoniandone l’indole dispersiva. A Leonardo non resterà che accogliere l’invito del re di Francia, Francesco I e recarsi ad Amboise dove spenderà gli ultimi due anni di vita nell’impossibile tentativo di mettere ordine agli appunti raccolti negli anni precedenti ma dove troverà almeno il modo di completare (seppure non finire) i meravigliosi dipinti che il re gli aveva comprato poco prima della sua morte, il San Giovanni, la Sant'Anna e la Gioconda. Oggi, tutti e tre al Museo del Louvre a Parigi.