Mercoledì 24 Aprile 2024

GIMBO VOLA NEL CIELO TUTTO D’ORO

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di Leo Turrini

Vederlo arrancare su quella scalinata, appoggiandosi alle stampelle, beh, faceva male al cuore. Era come contemplare un falco con un’ala spezzata, inchiodato al suolo, malinconicamente sottratto all’azzurro del suo cielo. Era l’estate del 2016. Giovanni Malagò, il presidente del Coni, aveva comunque portato Tamberi alla Olimpiade di Rio. Come simbolico capitano non giocatore. Come testimonial sfortunato. Come primo tifoso. Ad esempio del suo grande amico Gregorio Paltrinieri: Gimbo si stava appunto arrampicando sugli spalti per applaudire l’impresa del nuotatore modenese nei 1.500 stile libero.

Deve essere vero che, almeno talvolta, il Destino restituisce quello che ti ha tolto. Facciamo anzi che è stato verissimo per il saltatore marchigiano. Respinto alla frontiera del sogno nel 2016, quando un tremendo infortunio lo cancellò dalla lista dei partecipanti ad una gara, l’alto, cui si sarebbe presentato da favorito.

E ora ditemi: quanto possono essere lunghi quattro anni, poi diventati cinque causa pandemia, mentre ti avvolgono le spine di una attesa straziante? Cosa ti passa per la mente, mentre sospetti che il tempo perduto non ritornerà? Cosa ti mantiene lucido, quando l’ossessione si fa totalizzante?

Io una risposta non ce l’ho. In compenso so che Tamberi ha corso seriamente il rischio di smarrirsi, perché l’emozione del desiderio si appiattiva nella desolante proiezione di un miraggio. E invece. Invece la Giustizia dei sentimenti esiste. Esiste e ha scelto per materializzarsi un modo folle. È stata, quella di Tokyo, una soluzione che nemmeno uno sceneggiatore geniale avrebbe osato immaginare (e infatti vedrete che presto o tardi ci faranno un film, su questa storia).

Due medaglie d’oro per una gara sola. Il salto in alto, il balzo verso il cielo. La perfezione che si sdoppia, perché fino ai 2,37 Gianmarco il marchigiano e Mutaz Essa Barshim, fenicottero qatariota, avevano evitato qualunque sbavatura. E quando entrambi hanno fallito i 2,39, sì, in quell’istante epico hanno compreso di avere in comune qualcosa in più, oltre al talento. Anche Barshim aveva sperimentato il dolore di un infortunio grave, anche per lui l’attesa era stata un viaggio nella sofferenza fisica ed interiore.

Quella condivisione dell’oro, suggerita dal qatariota e rispettosa del regolamento, è diventata così una spettacolare sublimazione dell’amicizia. Ci si può riconoscere identici, nell’attimo in cui il Destino si offre di riparare torti inflitti a chi non meritava il castigo. E alla fine, allora, benedetta sia quell’attesa.