AMBRA, MONICA E MARTINA NELLA STAFFETTA L’ITALIA CALA IL TRIS DI REGINE

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di Doriano Rabotti

C’è stato un attimo in cui l’orologio del cuore non sapeva cosa fare, correva come il vento eppure il tempo sembrava sospeso, come se la vita scorresse al rallenty. Quando Ambra Sabatini ha preceduto sulla linea d’arrivo dei cento metri le compagne Martina Caironi e Monica Contrafatto, il mondo si è fermato a guardare qualcosa di unico, speciale, probabilmente irripetibile. Di sicuro non ci sarà un altro momento così forte sul piano delle emozioni, perché in quel momento si sgranarono anche occhi ormai abituati a vedere l’impossibile diventare realtà. Occhi che pensavano di essere arrivati al massimo con le vittorie di Jacobs e della staffetta maschile alle Olimpiadi. E invece ancora, e ancora, e ancora. Un tris azzurro che supera i confini dell’impresa sportiva, perché dietro ogni passo di Ambra, di Martina e di Monica ci sono vite intere passate a lottare.

La parola giusta è sicuramente ispirazione. Che gli sportivi vincenti provochino uno spirito di emulazione soprattutto nei più giovani non è una novità. Lo è di più il fatto che le tre Charlie’s Angels azzurre (perché questa è la posa che si sono date in pista dopo la vittoria), o il Trio Medusa come le ha ribattezzate Martina, si siano date a vicenda la forza e la voglia di andare più forte, più lontano. E insieme sono diventate un esempio al cubo, per il mondo.

Raccontava Monica, 40 anni, ex soldatessa che ha perso una gamba durante una azione di guerra in Afganistan, prima donna a ricevere la medaglia d’oro al valore dall’Esercito: "Nel letto di ospedale vidi Martina Caironi correre alle Paralimpiadi di Londra e mi dissi che un giorno anche io avrei fatto i Giochi". Lei che ha ringraziato per la medaglia l’Afganistan, paese dove oltre a una gamba ha perso un commilitone, nel Gulistan: "E’ il paese che mi ha tolto una parte di me, ma in realtà mi ha regalato una nuova vita fighissima".

Martina invece ha trovato nelle due compagne meno esperte di lei in pista la spinta per andare avanti, nonostante la stanchezza. Bergamasca trapiantata a Bologna, 32 anni, ha raccontato di essersi "ispirata molto ad Ambra Sabatini, che viene dall’atletica e ha movimenti perfetti". Già, Ambra, la rivelazione dei giochi paralimpici. Al di là delle qualità sportive, la diciannovenne di Porto Ercole è stata la stella più splendente di una giornata incredibile, e lo ha fatto grazie al suo entusiasmo. Lo stesso che la spingeva a dare coraggio al padre, su quel letto d’ospedale dove era finita dopo un incidente in scooter due anni fa.

Guidava papà, il motorino, Ambra era una promessa del mezzofondo: "Io piangevo e le tenevo la mano, lei dava a noi la forza", ha raccontato babbo Ambrogio mentre viveva un 4 settembre indimenticabile nella sala parrocchiale di Sant’Erasmo e San Paolo della Croce, insieme alla comunità di cui Ambra è l’orgoglio. C’era anche l’ex presidente della Federatletica Alfio Giomi, quel giorno a Porto Ercole, a guardare. E a raccontare: "Andai a trovarla in ospedale, non avevo il coraggio di entrare nella stanza. Mi chiamò e mi disse che avrebbe vinto le Olimpiadi". Ci si poteva fidare, no?