E’ IL NUOVO SALOTTO BUONO del vino italiano. Quello dove bisogna essere e dove non si può non essere. Quello da vedere, visitare e assaporare per l’esercito dei wine-lovers italiani. Parliamo dell’Etna, un territorio non vastissimo (21 comuni) a forma di semicerchio attorno al vulcano più attivo d’Europa, che è diventato una denominazione , Etna Doc, nuovo Eldorado del vino siciliano (e italiano) di qualità. Se le grandi firme dell’enologia nazionale (e insulare) fanno a gara per comprare fazzoletti di terreno qui, per ristrutturare o ripiantare i vigneti ad alberello su territori spesso scoscesi, terrazzati, ad altezze tra i 3-400 metri fino ai mille, la ragione non è solo puramente economica, mercantile. E non è solo il fascino di un territorio aspro, scaldato dalla roccia lavica, dove da sempre si faceva vino prima che la filossera ai primi del ‘900 facesse strage dei vigneti. E neppure il sentimento insieme minaccioso e misterioso che ispira il vulcano, «a’muntagna» come lo chiamano i catanesi. Bisogna tornare alle pagine che scriveva Vitaliano Brancati nel suo buen retiro di Zafferana Etnea. A quelle pagine del Bell’Antonio, di Paolo il caldo, intrise di un erotismo raffinato e torbido, nate all’ombra del vulcano, un mix unico di eleganza, finezza, inquietudine, mistero. Opposti che si conciliano e si stemperano nel bicchiere, dove l’eleganza non diventa mai austerità, dove la complessità si scioglie e si sublima nella piacevolezza. Questo è il regno dei rossi Nerello mascalese e Nerello cappuccio e del bianco Carricante, uve autoctone che qui tra mare e fuoco, tra brezze marine, sabbie vulcaniche ed escursioni termiche anche di 20 gradi tra giorno e notte danno origine a vini unici: rossi da grande invecchiamento e bianchi che sanno di frutta bianca e che sfidano gli anni, come i Riesling alsaziani. «All'Etna oggi viene riconosciuto il ruolo di locomotiva del vino di eccellenza siciliano», sintetizza il giovane presidente del Consorzio Etna Doc, Antonio Benanti. E in effetti i numeri lo confermano . In sei anni la vendita di bottiglie certificate è triplicata. Nel 2018 si sono prodotti (stime del sito cronachedigusto.it) quasi 27mila ettolitri , circa 3,6 milioni di bottiglie. Nel 2012 gli ettolitri erano stati circa 9500 pari a 1,2 milioni di bottiglie. Una crescita vertiginosa .
Le etichette Doc
I VIGNETI ISCRITTI ALLA DOC hanno raggiunto la superficie di 950 ettari per 124 cantine associate al consorzio, ma i numeri sono in progress anche perché sono in arrivo nuovi vigneti (le stime parlano di altri 250 ettari). Nel giro di pochi anni la superficie totale dovrebbe raggiungere i 1200-1300 ettari. Una crescita tumultuosa da consolidare e gestire con oculatezza, per tenere alta la reputation dei vini Etna. Il rischio principale – comune a tutti gli altri grandi territori dei vino italiano – è l’euforia produttiva , produrre più di quello che il mercato può recepire e remunerare, con conseguente svalutazione dell’immagine (e del valore) del prodotto.
Benanti ne è consapevole. Parla di «mantenere un posizionamento di nicchia» ma al tempo stesso «di comunicare meglio l’Etna» al di fuori della ristretta cerchia dei wine-lovers e degli addetti ai lavori. Le parole d’ordine per il futuro sono «territorio e tipicità». Quindi mappatura delle aree secondo le caratteristiche pedoclimatiche e successivamente far conoscere i vini del vulcano attraverso le Contrade, cioè i marcatori territoriali. E infine puntare all’upgrade dei vini del Consorzio, dalla Doc alla Docg, la denominazione più alta, quella che garantisce la Denominazione d'origine controllata e garantita.
Italiani e stranieri
NEL TERRITORIO-BOUTIQUE dell’Etna le grandi firme dell’enologia nazionale ci sono tutte: da quelle siciliane (Tasca, Firriato, Donnafugata, Planeta), a quelle ‘autoctone’ (Benanti, Cusumano, Cottanera, Girolamo Russo, Pietradolce, Cantine Nicosia) a quelle nazionali che non hanno resistito al fascino del vulcano (Gaja, Andrea Franchetti, Farinetti). Insomma, un paradiso per i wine-lovers.