Riva fa sempre canestro: "Italia, via la paura"

Ha segnato 14.397 punti nel massimo campionato: "Mi è piaciuto l’atteggiamento degli azzurri, dobbiamo giocare a viso aperto"

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di Sandro Pugliese

14.397 punti, una retina che si gonfia, una volta, due volte, infinite volte. Questo era sul campo Antonello Riva, ancora oggi recordman di punti segnati in Serie A. Capace anche di un’impresa speciale come quella di salire sul trono d’Europa nello stesso momento con la sua Cantù e con la Nazionale in un 1983 indimenticabile (suggellato anche dalla nascita del figlio Ivan). Il suo sguardo sulla Serie A parte da un’esperienza infinita sul parquet.

Riva, che cosa le piace di più e meno del basket attuale?

"Il passaggio dai 30 ai 24 secondi ha cambiato molto il gioco, ora è difficile vedere giochi elaborati che portano a soluzioni complesse. Si parte sempre da un pick’n’roll, talvolta è un po’ monotono. Lo sbilanciamento attuale del gioco sul tiro da 3, invece, avrebbe esaltato ancora di più il mio tiro. D’Antoni lo diceva già quando mi allenava a Milano, avrebbe portato grandi vantaggi a chi lo avrebbe usato tanto".

9 aprile 2000, record di punti, che sensazioni restano?

"In uno sport di squadra i record individuali contano relativamente, ma se sono ancora li dimostrano la serietà di una carriera in un cui ogni sera ho provato a dare il massimo. Fu una serata speciale, in Italia non si può sospendere una partita per un record, anche se negli USA ci costruiscono degli show. Invece l’arbitro Baldini, fermò lo stesso il gioco, mi diede il pallone, mi fece applaudire, un ricordo splendido".

Parliamo di Serie A, chi può scalfire Milano?

"Milano è forte e profonda, ha esperienza e sa come gestire il doppio impegno con l’Eurolega. Sono curioso di vedere come si adeguerà la Virtus Bologna, perché è come giocare due campionati. Poi mi piace il rinnovamento di Venezia. La lotta per il titolo si limiterà a queste tre".

Ci sono 8 squadre che fanno le coppe, quanto questo aiuta la crescita?

"E’ una tendenza che mi piace. Penso alla mia esperienza sul campo, le coppe erano fondamentali per far crescere i giovani. Devi abituarti ai viaggi, all’avversario che conosci meno, all’arbitraggio. Il confronto ti fa crescere. L’importante è che si dia spazio ai nostri ragazzi. Hanno dimostrato che possono starci, si deve avere coraggio".

Quali ricadute può avere la recente esperienza della Nazionale?

"Dobbiamo convincerci che quello è il nostro livello. Un tiro libero in più o in meno cambia poco. A ridosso delle primissime ci siamo anche noi. Magari siamo ad un oriundo di distanza da un risultato ancor migliore (dice ridendo, ndr). E’ anche vero che non raggiungiamo la semifinale da 20 anni, si può crescere ancora. Andrebbe strutturato un progetto decennale in cui allargare la base. I coach italiani sono bravi, ma serve più materiale umano".

Rivede analogie con la sua Nazionale?

"L’atteggiamento mi è piaciuto. Come con la Serbia, quando sembrava insormontabile, siamo scesi in campo a viso aperto, senza remore. Tutte le volte che abbiamo fatto un risultato, penso a Nantes, abbiamo giocato senza paura".

Come legge il fatto che tanti azzurri abbiano fatto il salto di qualità all’estero?

"Intanto se ti chiamano all’estero è perché sei forte. Poi ovvio che esci dalla tua comfort zone e devi sprigionare il massimo di te stesso. C’è anche da dire che quando una squadra fa un investimento su uno straniero lo fa anche giocare tanto. Banale, ma fondamentale".

E’ un’esperienza che le sarebbe piaciuto fare?

"Se posso avere un rimpianto è proprio quello, alle Olimpiadi di Los Angeles entrai nel miglior quintetto, nel 1985 ricevetti un invito per la stagione seguente, ma mi ruppi il ginocchio e non se ne fece nulla".

C’è un aspetto del basket italiano su cui fare passi importanti?

"In primis gli impianti, mentre a Berlino 15 anni fa ne costruivano uno fantastico con tante attività interne, a Roma da dirigente facevamo fatica a trovare lo spazio per un food truck fuori dal palazzetto. Siamo anni indietro. Poi bisogna entrare a fare attività nelle scuole, penetrare nel tessuto cittadino, portare il basket ai bambini, mettergli una palla in mano".