"Acqua bene da salvare"

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Il futuro è qui. Basterebbero i dati dell’Autorità distrettuale del Po che denuncia il più basso livello del fiume dell’ultimo trentennio per rendersi conto che il cambiamento climatico e l’emergenza ambientale non sono proiezioni teoriche della comunità scientifica impegnata a sviluppare modelli più o meno teorici degli scenari prossimi venturi, ma una realtà fenomenologica che ha già piena cittadinanza nella nostra vita. La climatologa Paola Mercogliano che dirige la divisione Modelli regionali e impatti geo-idrogeologici del Cmcc (Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici) tiene molto a sottolineare questo aspetto. "Sono diversi anni che la tendenza è verso un’estremizzazione delle manifestazioni per cui a periodi di siccità seguono precipitazioni violentissime. Il tratto di maggiore evidenza del climate change è infatti l’aumento di variabilità, quello delle temperature nel bacino mediterraneo e delle piogge intense. Ma – avverte la direttrice del Rehmi – il focus ora è sul lavoro da fare affinché le strutture si adeguino al cambio in atto, per esempio investendo in strutture che non disperdano l’acqua piovana e rendano possibile l’approvvigionamento quando ne cade meno".

Qual è il compito della comunità scientifica?

"Condurre a fare scelte che consentano una convivenza con fenomeni ormai acclarati. Non mi piace parlare di modelli climatici perché la realtà è già molto più avanti delle proiezioni dei nostri grafici. E quindi il nostro ruolo è quello di supporto alle decisioni che i proprietari terrieri, le amministrazioni, il livello politico deve assumere al fine di dimensionare gli interventi e le metodologie per non subire le alterazioni ma contrapporne soluzioni di adattamento. L’acqua a disposizione cala, dove la si vuole incanalare, per quale uso? Il modello climatico sta a monte, ma ormai è insufficiente se non serve a trovare antidoti efficaci".

Ma esiste uno scenario unico?

"Assolutamente no, l’Italia presenta un quadro complesso. Al Nord abbiamo avuto per esempio piogge intense a novembre che non sono state capitalizzate a sufficienza e ora si alza l’allarme siccità nei campi. Al Sud invece la forte diminuzione di precipitazioni copre l’intero arco dell’anno. Quindi tutto va calato nel contesto locale, non esiste un decalogo generale delle soluzioni, dipende anche dalla vulnerabilità della popolazione e della situazione idro-geologica. Dal punto di vista dei sistemi di stoccaggio e di trasferimento delle acque piovane siamo ancora molto indietro, come pure sul fronte delle perdite dei nostri sistemi fognari. Peraltro si tratterebbe di interventi semplici ed è impensabile che ancora se ne parli senza che nulla sia stato fatto".

Qual è il sentimento prevalente?

"La frustrazione. Sono almeno dieci-dodici anni che predico queste verità senza peraltro sentirmi una Cassandra perché quel che dico non deve terrorizzare ma smuovere le coscienze al fine di agire. Il rapporto causa-effetto è appurato, pacifico, la realtà è sotto gli occhi di tutti, l’impatto sulla biodiversità ormai evidente. I miei studi sul Po risalgono al 2015, e adesso chi ha il potere per agire dà dati inconfutabili, incontrovertibili. Ho profetizzato il peggio ma ciò doveva servire a preparare le soluzioni. E invece..."

Cosa manca affinché la paura possa venire incanalata in un’azione mirata?

"Come Cmcc abbiamo collaborazioni nazionali e internazionali avviate ma manca una sistematicità ovvero un contesto dove tutti si possa lavorare a una metodologia condivisa e applicabile su larga scala".

Da addetta ai lavori che cosa la inquieta di più?

"Nei prossimi dieci anni il Mediterraneo sarà interessato da incendi e ondate di calore straordinari e sono preoccupata del fatto che la comunicazione non faccia percepire l’urgenza per cui alla dichiarazione di emergenza deve seguire una pianificazione. A ogni estate si grida “al lupo al lupo” ma è ridicolo perché ogni anno si ripete la stessa storia, le conoscenze vanno capitalizzate per adottare politiche consone. La gente sembra che aspetti questo fantomatico cambiamento climatico, non si rende conto che ci siamo già dentro".

Come si concilia il progresso con le sue controindicazioni?

"Ma cosa intendiamo per progresso? Un’avanzata tecnologica che ci lascia senza cibo? Che desertifica il mondo? Io vorrei poter scegliere quale idea di progresso adottare. Ma è un gatto che si morde la coda e soprattutto guai fare lo scaricabarile. I giovani si mobilitano e vanno in piazza ma non dobbiamo delegare a loro la risoluzione di problemi che abbiamo creato noi. E’ ora di assumerci le responsabilità che ci sono dovute senza spostare l’attenzione e il peso sulle nuove generazioni".

Esiste una consapevolezza mondiale su questi temi così delicati?

"Purtroppo no e invece prima o poi toccherà a tutti fare i conti con il climate change. Le competenze multidisciplinari esistono e andrebbero sfruttate anche perché le ricadute sono inimmaginabili. Da noi vengono aziende di abbigliamento che ci chiedono quanti mesi durerà d’ora in poi l’inverno, i costruttori edili vogliono sapere a quali eventi devono preparare i loro edifici, perfino le malattie degli animali subiscono contraccolpi dagli effetti del cambiamento climatico. Non c’è settore che non ne venga toccato e ognuno è chiamato a fare il suo. Basta non spostare l’attenzione dall’oggi al futuro".