Una risorsa che produce reddito e lavoro

ANNI FA entrai in confidenza con un pubblicitario ostentatamente affermato il quale, con rara onestà intellettuale, mi confidò le ragioni effettive del suo successo iniziale: convinse il proprietario di una grande azienda alimentare a giustapporre la scritta “bio” sulle etichette di alcuni prodotti. I prodotti erano gli stessi di prima, ma grazie a quella scritta le vendite aumentarono del 20%. Eravamo agli albori di una rivoluzione culturale. Nel 1974 solo il 6% dei cittadini europei giudicava importante la lotta all’inquinamento e la tutela dell’ambiente, oggi la percentuale si è invertita. “Green” e “bio” non sono più solo marchi per vendere, ma settori industriali in costante espansione che producono reddito e lavoro. Sostenibilità ambientale, economia verde ed economia circolare non sono più solo temi da convegno, ma occasioni di crescita. Lo dimostra il fatto che quando, nei mesi scorsi, il ministro italiano dello Sviluppo, Carlo Calenda, ha illustrato il piano del governo per l’industria digitale (la mitica Industria 4.0) al suo fianco c’era il ministro dell’Ambiente, Gianluca Galletti. Una presenza attiva, una sinergia necessaria. È PER QUESTO che, al netto delle conclusioni cui giungerà, il G7 Ambiente di Bologna illuminerà comunque un buon cammino per il nostro Paese. Per due ragioni. Perché lo sradicamento e la perdita di contatto con la natura fa male all’anima ancor prima che ai polmoni. E perché l’ambiente è ormai un affare. Un vento da sfruttare come fosse una risorsa naturale. Lo ha capito la Germania, che pur essendo terra d’ombra produce e vende in ogni angolo del mondo chilometri e chilometri di pannelli solari. Lo ha capito la Cina, ormai tesa alla leadership globale nel fotovoltaico. Lo hanno capito, chi più chi meno, tutte le economie sviluppate: l’ambiente inteso non più come un vincolo, ma come un’opportunità. Opportunità di business, strumento politicamente corretto per arginare l’avanzata delle economie emergenti. Per l’Italia, poi, il vantaggio è evidente. “Made in Italy” è già sinonimo di qualità riconosciuto nel mondo. Un indice proprio, un brand di successo. La struttura del nostro sistema produttivo, basata su aziende piccole e medie, è compatibile con i vincoli ambientali presenti e futuri e ha tutto da guadagnare da un sistema globale volto a valorizzare la qualità, la compatibilità, la salute, il territorio. I nostri prodotti “di nicchia” ne guadagneranno in valore e mercato e lo faranno su scala planetaria. Evviva l’ambiente, dunque, evviva il G7!