G7 Ambiente, Francia: avanti senza perdere tempo

La Francia non cede sulla difesa dell'ambiente, tema diventato fondamentale quanto la difesa dei diritti umani

La Tour Eiffel

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«ANDREMO AVANTI, non possiamo più perdere tempo. Sono convinto che alla fine gli Stati Uniti capiranno e saranno al nostro fianco nella battaglia per il clima. E comunque noi continueremo. Il pericolo è evidente, c’è la massima urgenza. La transizione ecologica è la sfida del ventunesimo secolo», dice Emmanuel Macron. Il nuovo presidente della Repubblica francese non si arrende davanti allo scetticismo e all’ostilità di Donald Trump: è un ottimista, convinto che la fiducia nel buonsenso altrui prima o poi offrirà la ricompensa voluta. Della stessa tempra è il suo ministro dell’Ecologia, Nicolas Hulot: «Questa causa va ben aldilà delle nostre persone. È una battaglia che non possiamo perdere perché dal suo esito dipendono il futuro dell’umanità, la vita dei nostri figli e delle prossime generazioni, la sopravvivenza del pianeta e dei suoi abitanti». La Francia non cede sulla difesa dell’ambiente, un tema che per lei è diventato fondamentale quanto la difesa dei diritti umani. Batterà su questo tasto in tutte le prossime riunioni internazionali, a cominciare dal G7 che si terrà fra l’11 e il 12 giugno a Bologna per fare il punto sulle direttive Ue e sugli impegni firmati fino ad ora, per continuare con il G20 che si terrà in luglio ad Amburgo. Uscita con una strepitosa e sudata vittoria dalla difficile prova della Cop21, la conferenza “salva-clima” di Parigi che nel 2015 riuscì a mettere d’accordo 195 paesi sulla “feuille de route” da seguire nei prossimi decenni, la Francia farà di tutto adesso per convincere i governanti dei paesi più recalcitranti, primo fra tutti il presidente americano Donald Trump, a seguire la sua linea. Giovane e pieno di energie, Emmanuel Macron non si lascia impressionare dai rifiuti e meno che mai dalle esibizioni di forza altrui: la sua tattica è resistere, far sentire all’antagonista la sua determinazione, e alla fine convincerlo a scendere a patti. Ne abbiamo avuto un esempio in occasione del summit dei giorni scorsi a Taormina: un esempio apparentemente banale, e tuttavia significativo. SI SA CHE IL PRESIDENTE americano ha una stretta di mano eccessiva, come se volesse affermare la sua superiorità stritolando le falangi del suo interlocutore (che non sempre riesce a camuffare una smorfia di dolore): ma con Emmanuel Macron non gli è andata nel modo sperato. Macron infatti si era preparato e ha applicato una tecnica efficace: ha afferrato per primo la mano di Trump e l’ha tenuta ben stretta, impugnandola con la massima energia. L’altro è rimasto sorpreso, e ha perso il braccio di ferro. «Vedrete che anche sul dossier ambiente il presidente Macron applicherà la stessa strategia e si aggiudicherà il prossimo round», commenta uno dei suoi collaboratori all’Eliseo. Il secondo personaggio chiave nella grande partita della transizione ecologica che la prossima settimana trasformerà Bologna in capitale mondiale dell’ambiente è il nuovo ministro Nicolas Hulot, accompagnato dalla giovane sottosegretaria per la biodiversità Barbara Pompili. HULOT È UN UOMO pieno di grinta e di entusiasmo, uno dei più decisi e appassionati crociati dell’ecosistema. Conosciutissimo in Francia dove è una delle personalità più amate, intransigente ma anche grande mediatore, si distingue dagli altri leader del movimento ecologista francese per la sua capacità di tenere i piedi in terra, di non ricorrere agli isterismi tipici di una lettura apocalittica della realtà, e soprattutto per la sua dirittura morale. Per ben tre volte ha rifiutato la poltrona ministeriale che gli è stata offerta successivamente da Jacques Chirac, Nicolas Sarkozy e François Hollande. Ha detto di sì invece a Macron, e questo fa già capire molte cose. Hulot non sopporta i dirigenti politici, come l’ex primo ministro François Fillon, che mettono in dubbio le responsabilità umane nel surriscaldamento del pianeta, un fenomeno che provoca «300 mila morti l’anno». Al tempo stesso non chiede come altri una drastica messa al bando delle automobili, dei transatlantici, dei climatizzatori e via dicendo. Il suo motto è: «Organizziamo la moderazione prima di esservi costretti». Gran diplomatico, nominato da Frrançois Hollande ‘inviato speciale per la protezione del pianeta’, è stato lui a preparare alla vigilia della Cop21 l’incontro del presidente francese con Papa Francesco. GLI OBIETTIVI DA PERSEGUIRE sono elencati nel testo finale della Conferenza sul clima svoltasi a Parigi dal 30 novembre al 13 dicembre 2015: i 195 paesi partecipanti si dichiararono tutti d’accordo sulla necessità di ridurre il riscaldamento climatico fra 1,5 e 2 gradi di qui al 2100. L’accordo, che dovrebbe entrare in vigore nel 2020, prevede un nuovo orientamento mondiale verso l’abbandono progressivo delle energie fossili: ci si arriverà rispettando l’impegno ad aumentare il budget per l’ecologia, previsto dai paesi firmatari, e cercando di associare gli Stati i cui contributi sono insufficienti, come la Cina, gli Stati Uniti e l’India, che guarda caso sono i maggiori “inquinatori” del pianeta.