Rita Levi Montalcini: una grande umanità dietro il rigore della scienza

Rita Levi Montalcini

Rita Levi Montalcini

“Nella mia famiglia ho respirato e vissuto solo amore, cultura, educazione, rispetto. Una sorgente inesauribile per la mia vita professionale e umana”

NATA IL  22 aprile 1909 a Torino MORTA IL 30 dicembre 2012 a Roma LAUREA: Medicina LAVORO: scienziata, premio Nobel per la medicina

Cullata e cresciuta nell’amore. «Un amore così grande che mi ha sorretto in ogni istante della vita, fortificandomi e plasmando il mio carattere» - raccontò un giorno di gennaio 2003 il premio Nobel per la Medicina e senatrice Rita Levi Montalcini a margine di una conferenza pubblica, una delle tante in giro per il mondo. Quella volta si dilungò con enfasi sul ruolo e sull’importanza dell’amore e della famiglia. «Nella mia - disse col volto raggiante, quasi a ripercorrere e assaporare gli anni della giovinezza - ho respirato e vissuto solo amore, cultura, educazione, rispetto tra i miei genitori, tra loro e noi quattro figli, e tra noi fratelli. Tutto era imperniato sull’amore e ritengo che la mia vita professionale e umana abbia continuamente attinto a quella inesauribile sorgente». Più che atea, Rita Levi Montalcini, nata in una famiglia ebrea sefardita, e «fieramente ebrea», si era dichiarata agnostica fino alla fine dei suoi giorni, sopraggiunta nel 2012 alla veneranda età di 103 anni nella sua casa romana, che aveva condiviso con la sorella gemella Paola. Di fatto, però, viveva nella pienezza dei valori fondanti della trascendenza, dimentica di se stessa e rivolta ai bisogni dell’umanità, sempre sospinta dal desiderio di aiutare gli altri, con le tante iniziative a favore delle donne africane. La Fondazione Rita Levi-Montalcini continua a finanziare borse di studio a sostegno dell’istruzione di donne africane, perché «con l’istruzione si sconfigge l’ignoranza che è alla radice della povertà e della fame».

Primo di tutto donna e scienziata internazionale, tenace nelle scelte anche quando il padre Adamo, ingegnere e matematico, avrebbe preferito per lei una carriera professionale che non intralciasse i suoi doveri di moglie e madre. Come era stato per la moglie Adele, pittrice realizzata, ma al contempo moglie e madre premurosa. Tuttavia, è sempre la sofferenza nel volto del prossimo a delineare le scelte di vita della giovane Rita. Il suo è il classico profilo di donna del Novecento: libera, interiormente forte, l’animo forgiato dalle tante vicissitudine dell’epoca, dalle leggi razziali che la costrinsero a emigrare in Belgio fino alle guerre, e al trasferimento, nel ’47, negli Stati Uniti, lontano dalla sua amata famiglia, per continuare le ricerche iniziate a Torino e studiare neurobiologia.

La scelta di studiare Medicina all’Istituto di Anatomia Umana di Torino nasce, non a caso, proprio da un evento doloroso: la morte per cancro della sua amata governante Giovanna Bruatto. A soli 20 anni cominciò quindi a dedicarsi alla ricerca quando, con i futuri premi Nobel Salvador Luria e Renato Dulbecco, diventò studentessa dell’istologo Giuseppe Levi, verso cui nutrì «un inestinguibile debito di riconoscenza» per la formazione in scienze biologiche e per averle insegnato come affrontare i problemi scientifici in maniera rigorosa. Decenni di studi e ricerche premiati nel 1986 quando, assieme a Stanley Cohen, venne insignita del Nobel per le innovative scoperte nel campo dei fattori di crescita, poi battezzato Nerve Growth Factor (NGF), in grado di modulare la neurogenesi e di svolgere azione trofica sui neuroni e molte altre cellule nervose o endocrine del nostro organismo.

Una vita dedicata agli studi e alla ricerca che, a differenza, forse, di altre scienziate donne non le aveva mai impedito di mostrare quel suo lato marcatamente femminile. Collane, orecchini, abiti ‘chic’, chignon perfetti su quel volto minuto ma scintillante di vita, «perché la zia - ricorda di lei l’amata nipote Piera, figlia del fratello Gino, architetto - amava i vestiti, l’ordine e la pulizia». Nei suoi abiti raffinati, con altrettanta eleganza raccontava al mondo le sue scoperte scientifiche. L’arte dell’empatia, imparata in famiglia, le consentì, sebbene nubile, di conoscere le varie sfaccettature del mondo femminile, facendone di lei una 'donna speciale'. «A mio padre come a mia madre - aveva dichiarato più volte - debbo la disposizione a considerare con simpatia il prossimo, la mancanza di animosità e una naturale tendenza a interpretare fatti e persone dal lato più favorevole». Nella tomba di famiglia, il fratello Gino fece coniare una citazione dell’Ecclesiaste: 'C’è tempo per ogni cosa'. Rita Levi Montalcini ha saputo come impiegare e distribuire il suo tempo, mettendo la sua lunga vita a disposizione dell’umanità, lo ha fatto fino all’ultimo giorno.