Martedì 16 Aprile 2024

Martina Colombari: nell'inferno di Haiti. Non solo set e passerelle

Martina Colombari

Martina Colombari

"Faccio volontariato tra i terremotati per fare beneficenza autentica. Mio marito è in ansia, si raccomanda ma non mi ostacola"

NATA IL 10 luglio 1975 a Riccione DIPLOMA: maturità scientifica LAVORO: attrice e modella

Non solo attrice e modella: da più di 10 anni Martina Colombari è impegnata con la Fondazione Rava, impegnata in progetti a sostegno dell'infanzia in tutto il mondo.

Come è nata l'idea di partecipare in prima persona alle iniziative della Fondazione Rava in aiuto dei bambini colpiti dal terremoto di Haiti?

«Mi ero resa conto che, ogni volta in cui venivo interpellata per una causa benefica, non venivo coinvolta davvero. Si trattava soltanto di associare il mio volto a quella causa. Un giorno mi sono guardata allo specchio e mi sono detta: a chi raccontiamo che questo è il modo giusto di fare beneficenza? Se davvero credo in una causa devo essere una autentica volontaria, solo così posso essere un buon testimonial. Se devo fare pubblicità a un sugo, prima devo assaggiarlo, e mi deve piacere, altrimenti non sarò credibile. Dopo una serata di gala alla Scala, più di dieci anni fa, ho deciso di andare da Mariavittoria Rava, presidente della Fondazione e di farmi raccontare i loro progetti. Da qui è nata l'idea di andare ad Haiti. I primi viaggi sono stati destabilizzanti, è stato anche un  modo per mettermi alla prova. In questi anni mi sono resa conto che nel fare beneficenza c'è sempre un po' di egoismo, perché aiutare gli altri mi fa stare bene. Dobbiamo affrontare noi per primi i problemi che si pongono, senza pensare che debba provvedere qualcun altro, a cominciare dai migranti che scappano dal loro Paese. Proviamo a metterci nei loro panni».

La politica attuale del governo va però in un altro senso...

«Purtroppo sì. Li farei venire una settimana ad Haiti e le assicuro che Salvini cambierebbe idea».

Quale è stato l'impatto più forte quando è arrivata ad Haiti la prima volta?

«Impacchettare un neonato che durante la notte non ce l'aveva fatta. Ad Haiti abbiamo un ospedale fantastico, il Saint Damien, che ogni anno cura gratuitamente 80mila bambini ed è l'unico ospedale pediatrico dei Caraibi. Ad Haiti un bambino su 3 non arriva ai 5 anni di vita a causa di malattie che sono curabilissime. Padre Rick al mattino celebra un funerale per i bambini che durante la notte non ce l'hanno fatta...».

Tutte le mattine?

«Purtroppo sì, tutte le mattine. La maggior parte delle persone sono così povere da non potersi permettere un funerale. La messa del mattino alle 6,30 è dedicata alla cerimonia funebre. Ci sono bambini, ma anche adulti, messi a terra sul pavimento della  chiesa. Senza bare, soltanto dei sacchi verdi o bianchi, con delle croci cucite a mano».

Come è la sua giornata quando è ad Haiti?

«Sveglia all'alba, anche per i pianti dei bambini. Colazione veloce, Messa, poi, a seconda della giornata, varie attività. Ci può essere la distribuzione dell'acqua o del cibo negli slum, andare in ospedale o negli orfanotrofi a fare assistenza ai bambini. Poi abbiamo anche una stamperia, un'officina meccanica, una fabbrica di mattoni, una sartoria. Da tre anni, in collaborazione con lo Ieo, abbiamo varato il progettoWomens for Haiti, che riguarda il tumore al seno, molto diffuso ad Haiti. In realtà tutti fanno tutto, le giornate sono molto stancanti anche a livello psicologico. Ogni giovedì andiamo a svuotare l'obitorio dell'ospedale pubblico, altrimenti i cadaveri verrebbero buttati via. Non ci sono celle frigorifere, quindi può immaginare in quali condizioni sono, con il caldo di quella regione. I corpi vengono messi nel sacchi, trasportati a una mezz'ora dalla capitale, e seppelliti in fosse comuni nei terreni che noi affittiamo».

Non teme per la sua salute con queste condizioni di igiene precaria?

«Faccio tutte le vaccinazioni possibili, perché sono  un po' paurosa e quando sono là non mi voglio sottrarre ad alcun compito. Alle 7 e mezza di sera la giornata è finita, si va in qualche mercatino a recuperare un po' di cibo, mangiamo velocemente nel nostro compound, e poi si crolla dal sonno.»

Ogni volta quanto si ferma?

«Circa una settimana. Purtroppo negli ultimi mesi non sono riuscita ad andare per la situazione politica instabile, la popolazione si è ribellata contro il nuovo governo che non fa niente, ci sono scontri per le strade. Per assurdo, le condizioni erano migliori sotto i precedenti dittatori».

Come ha spiegato la sua decisione alla sua famiglia?

«Mio figlio era piccolissimo. Magari ogni tanto s'ingelosiva e diceva: torna dai tuoi bambini ad Haiti. Mio marito (Billy Costacurta, ndr) non mi ha mai ostacolato in questo desiderio di aiutare gli altri. La raccomandazione che mi fa ogni volta è: Stai attenta, non spingerti troppo in là, abbi un minimo di prudenza. Non è mai voluto venire perché dice che ognuno ha una sensibilità differente rispetto alla sofferenza. Ma anche lui fa un'attività di assistenza ai bambini negli ospedali con la Fondazione Abio.»