Mercoledì 24 Aprile 2024

Aurora Chistè: tecnologie per i Paesi in via di sviluppo

Aurora Chistè

Aurora Chistè

“Porto in Ghana l'esperienza della Silicon Valley. L'hi-tech è un veicolo di uguaglianza, perché porta opportunità a tutti"

NATA IL 31 dicembre 1986 a Mirano (Ve) LAUREA: Scienze della Comunicazione LAVORO: imprenditrice HOBBY: Subacquea, volo, vela, sci

La tecnologia della Silicon Valley come motore di sviluppo sostenibile in Africa. Aurora Chistè, 32enne veneta, da anni fa la spola tra i due continenti con una missione precisa: esportare i modelli di business più innovativi e creare nuove opportunità per l’imprenditoria del terzo mondo. Folgorata, mentre ancora studiava Scienze della comunicazione all’Università di Bologna, dal libro Usaibility 2.0 di Jakob Nielsen, si trasferisce nella Silicon Valley per approfondire gli studi.

«In Silicon Valley – racconta – mi sono sentita come un ciclista al Giro d’Italia: tutti corrono nella stessa direzione. Tutti credono nelle proprie potenzialità e sanno esattamente come avere un impatto sul mondo».

Inizia a lavorare con diverse start up e fonda la sua associazione no-profit, Hack for Big Choices, con cui organizza la più grandehackathon, cioè un evento per esperti informatici, a impatto sociale mai vista prima in Africa. Abbandona poi il mondo del no profit ma non l’intento di connettere soluzioni innovative con problemi reali, e oggi lavora in contatto con un’azienda di Bologna, Plug the Sun, con cui sta studiando come portare in Ghana un sistema di device ‘off the grid’ (autonomi e indipendenti dalla rete elettrica, ndr) che sfrutti l’energia solare per fornire l’energia elettrica che manca in diverse zone del Paese. Aurora ha inoltre aperto una piccola azienda di moda con sarti locali, Maakola, e vende i suoi modelli, tramite l’e-commerce, in tutto il mondo.

Perché ha scelto di impegnarsi nel terzo mondo?

«Ho trovato la stessa voglia di cambiare le cose che c’è in Silicon Valley. Sono i Paesi più giovani quelli che sentono di più la necessità di mutare la propria situazione. E ho pensato che volevo aiutarli a capire i problemi e risolverli attraverso l’imprenditoria e nuove aziende. Così con la mia no-profit ho lavorato due anni in Messico, poi in Colombia, a Santo Domingo, sempre coinvolgendo realtà locali come università e ministeri. In Ghana nel 2015 ho organizzato una hackaton il cui punto di vista era: cerchiamo di capire quali sono i problemi che affliggono il Paese e come risolverli. Sono venute fuori proposte hi-tech sulla distribuzione dei medicinali, o app per informare le donne sulle problematiche legate al parto».

Quali sono i problemi principali che ha incontrato nello sviluppo di un’imprenditoria locale?

«Le infrastrutture di base: connettività, dati ed energia. Conclusa l’esperienza del no profit, ho lavorato con un’azienda della Silicon Valley che sviluppa reti di dati in tutto il mondo ma che non aveva contatti in Africa. La mancanza di dati significa che le persone sono cieche: nessuno sa, ad esempio, quanti ospedali ci sono nel proprio Paese o quante scuole, quanti panifici. E questo blocca lo sviluppo. Nel frattempo le aziende dall’estero sanno esattamente quello che vogliono, entrano nel Paese e se lo portano via. Questo significa rinunciare a opportunità di business locali a favore di società internazionali. Nel 2015 ho indicizzato 20mila strutture sanitarie in Ghana. Ho creato un database di farmacie, ospedali e cliniche».

In che cosa consiste il progetto su cui sta lavorando oggi?

«In Ghana oggi molte persone non hanno elettricità perché i cavi non arrivano in tutte le zone del Paese: o perché remote, o perché la popolazione cresce a un ritmo esponenziale e la tecnologia tradizionale non riesce a rimanere al passo. In più c’è un problema di manutenzione. Stiamo conducendo studi per capire qual è il modello commerciale sostenibile per portare device off the grid, che sfruttano la più grande risorsa del Paese, il sole, e la convertono in energia utilizzabile dalla popolazione. Un esempio possono essere i sistemi di irrigazione alimentati ad energia solare».

L’arrivo della tecnologia può avere impatto sul fenomeno migratorio?

«Il Ghana è uno dei paesi che sta crescendo più velocemente in Africa ma ci sono ancora tantissimi bambini che muoiono per malnutrizione. Non per mancanza di risorse naturali, ma perché la popolazione non ha accesso a tecnologie di base, come l’elettricità. La popolazione se ne va perché pensa di non avere un piano B. La tecnologia è un veicolo di uguaglianza: può aiutare i popoli a utilizzare le proprie risorse e sviluppare nuove opportunità: sviluppo di nuove industrie, e creazione di nuovi lavori nel settore terziario avanzato grazie alla connettività e elettricità».