I vini italiani incantarono Hemingway

Luca Bonacini

Luca Bonacini

VIAGGIATORE instancabile, narratore straordinario e anche bevitore, lo scrittore Ernest Hemingway (1899 –1961), per gli amici Papa, avrà 4 mogli, numerose relazioni sentimentali e sarà l’idolo di alcune generazioni influenzando lo scrivere del XX secolo. Giovane volontario in Italia, durante la Prima guerra mondiale, rimarrà ferito dagli austriaci a Fossalta di Piave, in un’azione valorosa che gli procurerà la Medaglia d’argento al Valor militare italiana. Seguirà una carriera letteraria piena di successi, conclamata dal Premio Pulitzer nel 1953 per ‘Il vecchio e il mare’ e dal Premio Nobel per la letteratura nel ’54. Tra le sue mete più amate l’Italia, che considerava «maledettamente meravigliosa», dove verrà più volte, diventando estimatore di specialità e vini italici, legandosi a lunghe amicizie con barman, maitre, patron, ristoratori. Una per tutti quella con Giuseppe Cipriani, che all’Harry’s Bar di Venezia gli preparava il solito Martini, ma non solo. Soggiogato dalla bellezza di Venezia, dimorava all’Hotel Gritti e alla Locanda Cipriani di Torcello, dove si trovava anche nell’inverno tra il ’49 e il ’50: «Alle dieci di sera – ricorda Arrigo Cipriani – salvo rarissime eccezioni si ritirava nel suo appartamento a scrivere. Voleva in camera sei bottiglie di Amarone… Gli duravano tutta la notte e al mattino le trovavamo vuote». Anche il ristorante Dodici Apostoli di Verona, frequentato qualche anno prima, figurava tra le sue mete, come conferma il patron Giorgio Gioco: «Per prima cosa veniva in cantina a scegliersi il vino, decidendo fra Cirò, Gutturnio e Amarone Valpolicella. Poi passava dalla cucina e ordinava la solita costata, avvolta nel lardo e affogata nelle cipolle tagliate sottili, caramellate. L’Amarone fa scorrere meglio l’inchiostro, diceva». Amava il Capri Bianco, (bevuto durante la convalescenza a Milano, meglio se abbinato a beccaccia, soufflé e zabaglione), il Barbera (con gli spaghetti) e ancora il Freisa, l’Asti, il Chianti e il Marsala. Ma per il Valpolicella doveva davvero avere una predilezione se nel romanzo ‘Di là dal fiume e tra gli alberi’, ambientato interamente a Venezia, il vino veronese compare nel testo ben 14 volte, a discapito di champagne e vini francesi e a danno del Cocktail Martini menzionato in 7 occasioni.