Mercoledì 24 Aprile 2024

L'uomo che "affoga" l'uva nel mare. «Ecco il passito degli antichi greci»

Tra storia e enologia, l'esperimento di Antonio Arrighi all'Isola d'Elba

Antonio Arrighi

Antonio Arrighi

ISOLA D’ELBA, AIUTO, hanno affogato l’uva. Battuta da teatro dell’assurdo? Macché, è proprio così. Due quintali di uva Ansonica – in Sicilia la chiamano anche Insolia o Inzolia, si coltiva in cinque regioni ed entra, da sola o in compagnia, in una ventina di doc – ‘affogati’ per cinque giorni a sette metri di profondità in uno specchio d’acqua limpida, nel golfo di Porto Azzurro all’Elba, dentro speciali nasse fatte arrivare dalla Sardegna (l’unico artigiano che le facesse adatte sta a Castelsardo) e ancorate al fondale grazie all’aiuto di un gruppo di sub. Follia? Niente affatto, «anche se cercavano un pazzo, e qua gli hanno indicato subito me», sorride Antonio Arrighi, ex ristoratore e ormai da decenni agricoltore (7 ettari di viti, 40mila bottiglie l’anno in undici etichette), ma anche valorizzatore strenuo della sua isola. Con due grandi passioni: i vitigni autoctoni – l’Ansonica, ma non solo – e il vino in anfora «che ora – spiega – va di moda, ma non siamo partiti in tempi non sospetti, la prima prova l’abbiamo fatta dieci anni fa con Laura Zuddas, l’enologa, associata a un gruppo che lavora con le anfore dell’azienda Artenova di Impruneta, e oggi ne facciamo 6mila bottiglie». Un’idea che porta lontano, agli antichi usi georgiani adottati anche da Josko Gravner in Friuli, ma anche ai ‘dolia’, le anfore interrate del cantiniere Hermia che marchiava come un proprio brand il vino prodotto 22 secoli fa proprio all’Elba, come raccontano gli scavi della fattoria romana delle Grotte a San Giovanni. Non a caso, Arrighi gli ha dedicato un Viognier fermentato e affinato in anfore di terracotta con lunga macerazione a contatto con le bucce.

ED È QUI che si chiude il cerchio sull’uva ‘affogata’. Di mezzo c’è ancora la storia, e un grande cervello della viticoltura italiana, il professor Attilio Scienza. «Aveva l’idea – racconta Arrighi – di riuscire a riprodurre il vino greco dell’isola di Chio, che pare fosse un vero giulebbe. E aveva scoperto che i greci usavano immergere in ceste nell’acqua di mare uva simile all’Ansonica, dalla buccia spessa». Da qui la ricerca del «pazzo» disponibile, e dopo tanti «sì, ma non adesso», l’incontro con Antonio Arrighi. Uno che certe cose le fiuta al volo, per passione e per amore. Così è partito il progetto, la cui prima fase è stata realizzata due settimane fa. Ma quali sono i presupposti scientifici di questa idea affascinante? «Il sale marino – spiega Arrighi – porta via dalla superficie dell’acino la pruina, la sostanza cerosa prodotta dalle cellule epidermiche dei frutti e delle foglie per proteggersi dai raggi ultravioletti e per impedire l’eccessiva disidratazione. Insomma, si favorisce un appassimento più veloce».

GIÀ, PERCHÉ IL VINO che dovrà venirne fuori sarà un passito: Attilio Scienza, del resto, ne aveva parlato la prima volta proprio all’Elba, al convegno Elbaleatico. E per appassire meglio, l’uva è trattata con delicatezza. «Cinque giorni – continua Arrighi – nelle ceste in acqua, dove non era schiacciata, poi tolta e messa ad appassire sui graticci; in parallelo, con altra Ansonica è stato seguito il metodo tradizionale di cantina: dopo una pressatura leggera, andranno entrambe in anfore da 80 litri fino a primavera a contatto con le bucce». Una nuova strada di vinificazione? «Andiamoci piano – dice Antonio – qui siamo alle prove, perché nessun disciplinare prevede questo percorso, potrebbero contestarcelo». Ahi, la burocrazia. «In ogni caso sappiamo che l’ultimo vino fatto così è di duemila anni fa». © RIPRODUZIONE RISERVATA