Mercoledì 24 Aprile 2024

L'ambasciatore del Prosecco

Luca Giavi, direttore del Consorzio di tutela, ha spiegato all'Onu che bere bene e in modo consapevole migliora la qualità della vita

Consorzio tutela Conegliano Valdobbiadene Prosecco (Porta Nuova)

Consorzio tutela Conegliano Valdobbiadene Prosecco (Porta Nuova)

PESARO, OLTRE 11.500 viticoltori, 1.200 vinificatori, 348 case spumantistiche, 464 milioni di bottiglie prodotte di cui il 75 per cento destinato all’export. Il Consorzio di tutela del Prosecco Doc è uno dei simboli del bere italiano nel mondo e si spiega perché il suo direttore, Luca Giavi, sia stato chiamato al forum dell’Onu sull’alimentazione a Ginevra, per portare il suo contributo di idee. Che è stato effervescente. La dieta mediterranea infatti è sotto attacco dell’Organizzazione mondiale della sanità che indica il vino, oltre a carni trasformate e rosse, come alimento a rischio.

Giavi, ma è proprio così? «No. Il problema è posto male. Non è il vino che nuoce alla salute, semmai il consumo spropositato che se ne può fare. Come in tutte le cose serve moderazione. Il fatto è che i giovani bevono alcol in quantità esagerate e in poco tempo. Questo è il problema. Il vino non fa male, ma se al sabato sera ne abusi sì».

Che messaggio porta il Prosecco in proposito? «Essendo una delle bevande più conosciute e consumate al mondo, porta un messaggio chiaro: bevete bene e in giuste dosi. Se ne abusi può fare male al pari di ogni altra bevanda alcolica o alimento, se l’approccio è consapevole no. E lo diciamo noi produttori per primi».

Ma lo ha fatto un brindisi alle Nazioni Unite? «Sì, l’ho fatto in diretta a Ginevra. Ho detto: che il vino sia un elemento che migliori la qualità della vita». Quali sono i Paesi che bevono più Prosecco? «L’Italia e poi Regno Unito, Germania e Francia».

Il vostro vino è ancora sinonimo di aperitivo? «Non più e non solo: oggi c’è l’apericena».

E all’estero? «Anche lì. Una volta all’estero l’aperitivo significava il cocktail con liquori ad alta gradazione. Oggi in tanti Paesi si beve Prosecco oppure lo Spritz a base del nostro vino».

Come ve la cavate in Francia? «Benissimo. Siamo entrati in punta di piedi, per rispetto di una grande tradizione, non abbiamo mai investito lì, ma nonostante ciò quello è il nostro quarto mercato per importanza ed esportazioni. Questo ci gratifica. Lì bevono bene, c’è cultura e se ci scelgono vuol dire che siamo buoni. E possiamo anche alzare il prezzo».

Mettiamo il termometro nel calice: la febbre da Prosecco è in crescita? «Costante. Più sei per cento nei primi quattro mesi del 2019»

Anche per voi la Cina è il mercato del futuro? «E’ un mercato con grande potenzialità, che il sistema Italia ha approcciato con notevole ritardo rispetto alla Francia. Noi paghiamo lo scotto dell’ assenza di accordi bilaterali, con accise e costi tradizionali che ci rendono meno competitivi. Ma abbiamo un ufficio che si dedica solo a quel mercato. E, nonostante i cinesi prediligano vini senza bollicine, dolci e non freddi, cioé il contrario del Prosecco, stiamo entrando».

La chiave? «I party e gli eventi. Si festeggia e si beve Prosecco anche in Cina, piano piano».

Vini bio e naturali, la nuova tendenza: e il Prosecco? «Ci stiamo adeguando. Le do solo un dato: la nostra produzione bio è in crescita del dieci per cento».