Giovedì 25 Aprile 2024

I nobili del Chianti

Castello di Querceto

#VINO

#VINO

GREVE IN CHIANTI (Firenze), LE BOTTIGLIE giacciono custodite gelosamente su uno scaffale in un angolo antico (forse millenario) della cantina del castello. La Schatzkammer, camera del tesoro, come la chiamerebbero i tedeschi. Sopra, quella data che ha dell’incredibile, ai tempi del consumo usa-e-getta. Millenovecentoquattro. La prima vendemmia del signor Carlo François, discendente di una famiglia dell’Alta Savoia scesa a Firenze con Antonio al servizio di Francesco I imperatore del Sacro Romano Impero ed elevata subito a ranghi di nobiltà con un bellissimo stemma, l’aquila simbolo di fierezza, il liocorno della forza, le stelle per le alte aspirazioni: un nipote di Antonio, del resto, è quell’Alessandro archeologo scopritore di tesori, il Vaso e la Tomba, detti appunto François. La prima vendemmia di una tenuta che Carlo acquistò con la moglie Elvira, appena sposata, nel 1897. Centoventi anni di storia del vino nel Chianti, nemmeno tanto tempo dopo gli studi e la famosa ‘ricetta’, la formula dettata da Bettino Ricasoli per cominciare a pensare il Chianti come un grande vino. Una vigna, La Corte, scelta con un sondaggio tra i contadini del luogo. Piantata solo a Sangiovese, quando si dice guardare avanti: il signor Carlo – come del resto anche il Barone di Ferro – l’aveva capito, la bacca bianca non dà longevità.

SONO ancora lì, quelle bottiglie, a raccontare la storia di una tenuta che è diventata azienda da 600mila bottiglie prodotto più un altro milione-milione e mezzo di commerciato, e di una famiglia che ne ha ancora il timone. Ma ci sono voluti quasi otto decenni per quadrare il cerchio. Era la fine degli anni Settanta quando il nipote di Carlo, un altro Alessandro, fino ad allora ingegnere alla Techint, pensò con la moglie Maria Antonietta pioniera delle donne del vino, di riaprire quella ‘casa di campagna’ (il castello del Cinquecento con le torri e i merli guelfi) in mezzo ai boschi chiusa da tempo. Qualche vacanza d’estate, poi la folgorazione: facciamo il vino. Detto fatto, Alessandro chiede a una ventina di amici milanesi di entrare in società, nasce l’azienda. Cinque ettari di vigna che diventano subito 35, poi la cantina, e si arriva agli 80 ettari di oggi, 65 di proprietà il resto in gestione. Una buona semina, e non la sola: con Alessandro, 82 anni, e Maria Antonietta, lavorano i figli Lia e Simone con i coniugi Marco e Stefania, e Paolo, un nipote.

DIECI le etichette a marchio Castello di Querceto, tra i primi a credere nella novità della Gran Selezione; spicca Il Picchio, cru da una sola vigna, come cru sono tutti i vini di pregio, anche La Corte: c’è ancora, le viti sono state ripiantate 45 anni fa, non è Chianti Classico «ma potrebbe con il nuovo disciplinare – dice Alessandro –, però alla nostra clientela va bene così». Clientela in circa 50 Paesi, del resto la produzione va all’export per il 92-93%, ci sono dentro 5 Igt e due spumanti, due grappe e L’Arzente, unico brandy del Chianti Classico, e un vinsanto che esce da una vinsanteria tradizionale. Vini, spiega Alessandro, «che nascono da una terra poco fertile e molto minerale: quindi, poco legno, appena il 10%, e qui le barrique durano anche dieci anni, e il vino là dentro ci sta poco. Così la personalità è più spiccata».