Giovedì 18 Aprile 2024

Aneri guarda alla Cina con Amarone, Pinot nero e Prosecco

Giancarlo Aneri insieme ad alcuni familiari nella cantina dell'azienda

Giancarlo Aneri insieme ad alcuni familiari nella cantina dell'azienda

CON i vini è come con figli e nipoti: giusto non avere preferenze, specie quando si è a capo di una «big happy family» come la sua e di un gruppo imprenditoriale che dei prodotti della vigna ama più la diversificazione che la gerarchia. Ma insomma, la maggiore simpatia per un’etichetta è comunque concessa e Giancarlo Aneri la dichiara: «Amo l’Amarone, grande rosso del Veneto, tra i migliori nei segmenti luxury e ultra-premium. Ma adoro il Prosecco, così semplice eppure così generoso». Con tanto di aggiunta che diventa la vera news dell’azienda veronese nota per brindare con vip e potenti del mondo e per fare delle sue 500mila bottiglie un piccolo patrimonio italiano. È un inedito: nel 2019 partirà una piccola produzione (20mila bottiglie) di Prosecco biologico, con l’ambizione di portarla a 100mila bottiglie entro un quinquennio, evoluzione anche etica di una disciplina empirica come l’enologia e di una gamma di prodotti che presto (entro 3 anni) dovrebbe arricchirsi con la dedica di un grande vino rosso veneto al più giovane dei nipotini di Aneri, il piccolo Leone, etichetta destinata ad aggiungersi a quelle che già portano i nomi dei parenti più stretti e cari. Come dire: Giancarlo Aneri, più che conversare, converte, carattere distintivo di un imprenditore visionario e insieme pragmatico che ha imparato ad ascoltare il prossimo perché sul mercato globale non si naviga a vista e intanto mette in archivio una vendemmia con i fiocchi e un +20% rispetto al 2017 («Ottima quantità, grande qualità»); vede già esaurite le prenotazioni 2019; e si appresta a presentare il suo promettente Amarone 2013. E’ in Cina che Aneri sta sbarcando, anche se in punta di piedi. La prima ordinazione è già partita, con un carico di Pinot Nero «Ale», di Amarone «Stella» e di Prosecco «Lucrezia», novità assoluta e avanguardia di un brand che punta a brillare nei 20 ristoranti italiani più blasonati di Shanghai e Pechino e a contribuire ad una penetrazione nel grande mercato asiatico dove l’Italia è in ritardo rispetto ai cugini francesi «per eccessivo individualismo e per l’assenza di un progetto–ombrello sostenuto dalle nostre istituzioni». Non che l’avventura lo spaventi. Del resto, ci riesce anche nel mondo del caffè, tanto da proporre le capsule di caffè «miscela d’autore» che arrivano da un’altra sua azienda, la è Group, ai mitici magazzini parigini «Le Bon Marché» dopo averle posizionate sugli scaffali Esselunga. È la massima di un settantenne che ha versato i suoi vini nei bicchieri di Obama, Putin e Trump.