Mercoledì 24 Aprile 2024

La sfida del rosa

Sei consorzi, in rappresentanza di territori storicamente vocati, hanno fondato un Istituto per favorire la valorizzazione dei vini rosati

Vigneto

Vigneto

MONIGA DEL GARDA (Brescia), CI SONO due grandi incompiute nel catalogo dell’enologia nazionale: la valorizzazione dei vini dolci/passiti e dei vini rosati, anzi rosa , come si dice adesso. Produzioni autoctone, di grande tradizione, di territorio ma trascurate perché non sostenute da adeguati consumi. La moda del ‘rosa’ – non in Italia ma all’estero, in particolare negli Usa dove i francesi fanno sfracelli coi loro Cotes de Provence, una forza d’urto da 250 milioni di bottiglie – ha risvegliato i territori italiani di tradizione, in particolare il mondo dei Chiaretti sulle due sponde del Garda; dal lato veronese il Chiaretto Bardolino base Corvina, dall’altro il Chiaretto Valtènesi, base Groppello.

INSIEME i due consorzi fanno 12-13 milioni di bottiglie di ‘rosa’ (poi ci sono i rossi) e stanno crescendo con percentuali a due cifre sui mercati esteri (Germania, Usa, Nord Europa) tanto che il lago di Garda è il territorio trainante della pink revolution enoica del Belpaese. E qui (e nella continua area del Lugana) stanno investendo i grandi gruppi come Santa Margherita, Allegrini o importanti famiglie come i conti Thun (in Valtènesi). Dai due consorzi del ‘rosa’ gardesani è partita la riscossa con la fondazione dell’Istituto Vino Rosa Autoctono Italiano il cui Cda si è riunito per la prima volta sabato scorso a Moniga del Garda in occasione della dodicesima edizione di Italia in Rosa. La promozione congiunta è l’obiettivo primario dei consorzi fondatori (Valtènesi, Chiaretto di Bardolino, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel del Monte, Salice Salentino e Cirò): sei denominazioni in rappresentanza di sei territori storicamente vocati , dal Nord al Centro al Sud del paese, e che coi loro 25 milioni di bottiglie valgono circa la metà di tutte l’imbottigliato ‘rosa’ del Paese (mancano numeri certi ma dovrebbe essere sui 60 milioni, più ovviamente lo sfuso).

UNA MASSA critica che vuole lavorare unita sui mercati esteri ma anche sui consumi interni che sono desolatamente al palo: in lieve aumento, ma confinati al 5,5% del totale nazionale. L’obiettivo sarebbe di arrivare almeno ai livelli della percentuale mondiale (il 10%), sognando magari di fare come in Francia dove i brindisi rosè valgono il 33% del mercato. «Da Italia in Rosa 2019 parte la sfida che punta a creare una cultura del vino rosa in Italia», è il messaggio di Alessandro Luzzago, presidente del Consorzio Valtènesi. Il rosa in cantina deve avere pari dignità con rossi e bianchi, è convinto Franco Cristoforetti, presidente del neonato Istituto. «I sei consorzi di Rosautoctono rappresentano sei sfumature di rosa e simboleggiano territori che hanno saputo valorizzare i propri vitigni storici, puntando a valorizzare le diversità da nord a sud ma parlando la stessa lingua. C’è una volontà ferma di parlare di vini rosa attraverso promozione, formazione e ricerca». Rilanciare i consumi è la prima sfida.

«NON FACILE», commenta il sito winenews.it , anche se «qualcosa si muove anche in Italia a partire da questo raggruppamento consortile, unico nel suo genere, per arrivare all’istituzione del premio al Miglior Vino Rosato d’Italia della guida Gambero Rosso 2019, riconosciuto al Chiaretto Valtènesi Molmenti 2015 di Costaripa, la cantina di Mattia Vezzola (anche consulente enologo della griffe del Franciacorta Bellavista, ndr)». Ma esiste uno stile rosa italiano? «Non ce ne sarà mai uno solo, ci sono denominazioni che hanno trovato una propria identità e stanno trovando chiavi di lettura più consone per raccontarsi», conclude Luzzago.