Martedì 23 Aprile 2024

La marescialla del Chianti

Rocca delle Macie. Daniela Maccaferri guida l'azienda con il marito Sergio Zingarelli

vigneti

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CI VUOLE una grande donna, certo. Anche quando «lui» occupa l’intera scena. Perché è il volto dell’azienda, una delle più titolate e prestigiose di quella’area magica che si chiama Chianti Classico. Perché del Chianti Classico è stato anche il timoniere, e per due mandati. Perché è figlio di Italo Zingarelli, regista e produttore che inventò la coppia Bud Spencer – Terence Hill. Eppure, ci vuole una grande donna: è lei, Daniela Maccaferri, l’altra metà ma anche l’altra anima della Rocca, cioè Rocca delle Macie, una famiglia che è anche un’azienda nella quale oggi tutti hanno posto e ruolo. Detto di Sergio Zingarelli, il titolare, l’uomo del vino e dei vini, l’uomo della campagna; detto dei figli Andrea, 33, e Giulia, 30, che si occupano lui degli acquisti lei dei cavalli, e insieme gestiscono un wine-bar in paese; detto questo, resta… il resto. E le redini del resto che sono un mondo intero stanno in mano a lei. Daniela Maccaferri, la co-anima della Rocca, mano di ferro in guanto di velluto.

Come si sente, signora Daniela, in questo ruolo? «Bene, certo. Da tanti anni mi sono trasferita dalla città alla campagna: io aiutavo mio padre nell’attività di famiglia, sono la seconda di sette figli di una coppia di emiliani – mamma di Sestola, papà di Ferrara – trasferiti a Roma».

Come ha incontrato suo marito? «A Sestola, a metà anni Settanta. Con sua sorella eravamo le uniche romane sulle piste di Pian del Falco, ci fu una serie di scambi di inviti, il padre aveva attrezzato la casa per tenere in casa gli amici dei figli, capirà, erano gli anni caldi delle Brigate Rosse… Ci frequentiamo dal 1977, ci siamo sposati nell’85 e l’anno dopo ci siamo trasferiti».

E lei come la prese? «Ho seguito l’istinto e l’insegnamento dei genitori, se Sergio aveva deciso di seguire le orme paterne e imparare questo mondo, pur avendo casa a Roma mi sono spostata con lui». Ognuno con la sua parte… «Siamo complementari, Sergio e io. Lui segue la campagna, gli enologi e il commercio, io sono un jolly per le risorse umane, l’imbottigliamento, il rélais».

Cosa le piace di questo mondo? «Mi hanno aiutato moltissimo le persone che ho trovato qui, grazie ai vecchi delle case coloniche non mi sono sentita sola, insomma entrando in punta di piedi sono stata apprezzata senza per forza essere ‘la moglie di’ o ‘la nuora di’, e mio suocero era molto influente. Ma anche lui mi ha dato carta bianca e fiducia, tanti mi scambiavano per sua figlia».

Che cosa la scosta? «I toscani hanno sempre il loro nemico giornaliero. E del resto anch’io ho avuto un inizio non semplicissimo, pensate che qua a metà degli anni Ottanta non si faceva una gran vita, alle nove di sera a Siena c’era il coprifuoco. Ma ho goduto una bella casa e la possibilità di stare bene».

Sul lavoro fa la marescialla? «Un pochino sì, io sono la ‘cattiva’… Sono molto diretta, mio marito è più diplomatico, io non giro intorno alle cose, devo sempre dire la verità».

E nei confronti del vino? «Sono di radici emiliane, il vino è sempre stato presente, invece in casa Zingarelli no, quando andavo da Sergio il vino non c’era, da noi non poteva mancare con i tortellini e le lasagne di mamma, e Sergio se ne meravigliava. Era un lambrusco semplice, certo, ma divertente».

Come vive oggi la grande crescita di Rocca delle Macie? «L’abbiamo creata insieme, sentita venir su giorno per giorno, abbiamo condiviso tutto, anche le discussioni più pesanti, magari cercando equilibri e punti comuni per risolvere problemi. Una crescita lenta ma studiata: Sergio ha grandi capacità, e la famiglia lo ha sempre sostenuto».

Anche i figli? «Certo. Andrea, arbitro in serie C, segue gli acquisti soprattutto delle cose più delicate. E con la sorella ha aperto a Castellina un wine bar che si chiama Altroché: è il nome del cavallo di Giulia, che lei ama molto: è la sua attività seguire i cavalli, una passione trasmessa da nonno Italo».