Venerdì 19 Aprile 2024

Cantina Tolaini: l'emigrante che fece l'impresa

Ha fatto fortuna in Nord America poi è tornato in Italia a coltivare la terra. Ora Pierluigi Tolaini produce un Chianti di livello mondiale

Un paesaggio del Chianti

Un paesaggio del Chianti

CASTELNUOVO BERARDENGA (Siena), PARTÌ di notte, mentre i suoi dormivano. Una notte del ’56, lui aveva appena vent’anni e ne aveva già abbastanza della sua Garfagnana, «una terra che sapeva solo di sudore», e che ancora per decenni non avrebbe conosciuto le ribalte del turismo e dell’enogastronomia. Partì alla chetichella, senza arte né parte, tanto che appena messo piede in Nord America si sarebbe ritrovato a dare lo straccio in terra in una bottega e a campare a pane e marmellata, prima di passare a pulire motori nel garage dello zio in Canada. E, di lì, il primo balzo con il primo camion, poi un altro e un altro ancora. Fino a costruire un impero nei trasporti, la TransX con 2.000 dipendenti, 3.000 tir e 1.100 bilici, «un giro d’affari che vale quanto tutto il Chianti Classico».

PARTÌ CONTADINO, Pierluigi Tolaini. Con quattro promesse ben appuntate in mente: mai più povertà, mai più polenta di castagne, mai più vino cattivo. E un ritorno, ma «per fare un grande vino, un grande Chianti». E contadino, alla fin fine, è tornato. Ma contadino-padrone: un bel gruzzolo in tasca, un investimento da 30 milioni di euro a Pievasciata, nel Comune di Castelnuovo Berardenga, per le tenute Montebello e San Giovanni, acquistate dal 1998. La favola bella dell’emigrato che torna e investe, l’ha sempre detto senza mezzi termini, per fare un world class wine. E allora gli perdoni tante cose, il marmo di Carrara per la copia del Bacco di Donatello e per i due splendidi leoni ai lati del vialetto verso la villa del Seicento diventata quartier generale: lì dentro c’è una cantina ipertecnologica, senza il minimo stress per l’uva, e da pochi anni un selezionatore ottico per gli acini, che scarta quelli non idonei con un semplice soffio d’aria compressa. Davanti un bel prato, e là sotto la barricaia, in un silenzio che sa di meditazione.

MA LA FAVOLA bella dell’emigrato che torna pieno di soldi non è solo poesia e retorica. C’è un’impresa, e anche coraggiosa, in mezzo alle vigne tra le quali sbuca laggiù all’orizzonte la Torre del Mangia. Accanto a sé, per fare il suo world class wine, Pierluigi Tolaini volle da subito l’enologo numero uno al mondo, e con Michel Rolland ha progettato le vigne con precisi criteri di zonazione, per realizzare anzitutto grandi Supertuscan, con una densità di 11.300 piante a ettaro per i Cabernet (Franc e Sauvignon) e il Merlot, all’uso francese. E alta densità – 7.300 piante a ettaro – anche anche per il Sangiovese, il vitigno principe del Chianti Classico, che ha avuto più attenzione da quando a Pierluigi si è affiancata la vulcanica Lia, la maggiore dei tre figli, e infine, dal 2017, il nuovo enologo, Luca D’Attoma, toscano con grande passione per il Sangiovese. Condivisa da Lia, che è titolare anche dell’azienda che importa Tolaini in Nord America: una bella fetta delle 200mila bottiglie (l’80% delle 250mila totali da 50 ettari di vigne) che ogni anno partono per l’estero a portare il sapore dei vini di Tolaini. Sono due Chianti Classico (annata e Gran Selezione, 100% di Sangiovese), poi Al Passo (85 % Sangiovese e 15% Merlot), Valdisanti (75% Cabernet Sauvignon, 20% Sangiovese, 5% Cabernet Franc) e il top della gamma, il Picconero fatto con 65% di Merlot e 35% di Cabernet Franc. La Toscana in bocca, nella favola bella dell’emigrante.