Mercoledì 24 Aprile 2024

Cervaro, gemma di casa Antinori. «È nato il primo bianco in barrique»

Pietro, il timoniere della maison: «Piacerà all'estero e ai collezionisti»

Piero Antinori

Piero Antinori

FIRENZE, IL BIANCO della svolta nacque – un po’ per caso e forse anche per errore, come un po’ tutte le intuizioni più geniali – come risposta al successo, fragoroso ed esso pure rivoluzionario, di un ‘fratello’ rosso. Che si chiamava, e si chiama, Tignanello. Così Piero Antinori (nella foto), il Grande Timoniere di una della griffe più antiche e titolate del Vigneto Italia e non solo, racconta in sintesi la storia del Cervaro della Sala. Il primo bianco italiano destinato a invecchiare, all’uso dei grandi bianchi di Borgogna, nato in una tenuta umbra, il Castello della Sala, 170 ettari di vigneto – coltivati con varietà tradizionali come Procanico e Grechetto, ma anche con Chardonnay, Sauvignon Blanc, Sémillon, Pinot Bianco, Viognier ed una piccola quota di Traminer e Riesling, ad un’altezza di 220 - 470 metri sul mare – intorno a un bel maniero del 1350 che era appartenuto ai Monaldeschi della Cervara. E da qui il fortunato nome del vino rivoluzionario.

Marchese Antinori, ma come nacque l’idea? «Quindici anni prima era nato il Tignanello, innovazione di grande successo, quasi una pietra miliare nella nuova enologia italiana. E nel nostro spirito abbiamo voluto dare una risposta in bianco, però in Umbria, rispettando le tradizioni dell’aziende e del luogo».

E quale fu l’obiettivo? «La crescita di qualità dei bianchi umbri, rappresentati dall’Orvieto, buon vino di tradizione ma non eccelso. Con Renzo Cotarella si cominciò a pensare a tutt’altra complessità, e a sperimentare, ma il primo Cervaro uscito nel 1985 non è mai andato in commercio».

Ma qual è la novità di questo vino? «Intanto un vitigno diverso dal Procanico, cioè lo Chardonnay. Poi il sistema di vinificazione: per la prima volta un bianco in barrique, alla maniera della Borgogna, con maturazione in barrique solo nuove. Ma l’errore era stato pensare al solo Chardonnay, e puntammo sul Grechetto, che in purezza è difficile ma allo Chardonnay conferisce acidità che quell’uva non ha. Il caso ci regalò la fermentazione malolattica spontanea per la prima volta in barrique».

Che cosa ha rappresentato nel panorama dei bianchi italiani? È ancora attuale, in tempi di vermentini e prosecco? «Il Cervaro è nato per andare controcorrente, perché è un bianco che deve invecchiare per esprimersi. Ed è sempre attuale, anzi comincia a piacere anche all’estero, in mercati che apprezzano non più solo freschezza ma cercano anche complessità e longevità. Mercati di nicchia, ma chi ama la Borgogna lo apprezza».

A chi piace di più? «Un po’ dappertutto. Agli inglesi, grandi appassionati di vini vecchi. Negli Usa. In Svizzera, terra di intenditori. Ai collezionisti, perché si mette in cantina e si apre anche dopo 5-10 anni».

E Piero Antinori come preferisce berlo? «Con il pesce di tutti i tipi, ma anche con i formaggi, purché non troppo stagionati o troppo intensi».

Curioso, un’azienda tanto rossista trova soddisfazione nei bianchi… «Sì, anche perché nel mondo ce n’è sempre più richiesta, per gli aperitivi, tra le donne… si prestano ai consumi più svariati».

Avete insomma altri progetti in bianco? «C’è sempre qualcosa nei cassetti. Ma voglio ricordare mio padre Niccolò, che nel 1940, momento pure così difficile, ebbe la visione di acquistare questa terra così vocata ai bianchi. Gli sono molto grato: senza lui, il Cervaro non sarebbe nato».