Giovedì 25 Aprile 2024

La storia del Sangiovese

Tre Monti. Sergio Navacchia guida con i figli Vittorio e David l'azienda che produce uve biologiche nel segno della tradizione

Botti di vino

Botti di vino

IMOLA (Bologna), SE TELEFONATE a cantina Tre Monti, bella tenuta nelle colline sopra Imola, risponde lui, Sergio Navacchia, classe 1933, fondatore dell’azienda con la moglie Thea. Ma, attenzione, è sempre lui quello che comanda la baracca. Gestisce anche il ristorante aziendale, un posto molto speciale (e ambìto, si mangia molto bene). Sergio è uno dei grandi vecchi del mondo enoico romagnolo, era presente al suo quarantunesimo Vinitaly nell’aprile scorso. Uno di quelli che hanno fatto la storia del Sangiovese targato Romagna, come Umberto Cesari (ci ha lasciato da poco), che faceva vino qui a due passi, sulle colline di Castel San Pietro.

UNA CARRIERA di dirigente Rai alle spalle, Sergio e la moglie Thea a fine anni ’60 cominciarono per incoscienza («fare vino di qualità quegli anni in Romagna era cosa da pazzi», racconta oggi il figlio David), poi si fecero prendere dalla passione, che li legò alla terra con un legame forte. A loro modo due rivoluzionari, dalla vigna (fra i primi a piantare con grandi densità per ettaro e a sperimentare con vitigni non tradizionali) per finire in cantina dove chiamarono enologi ‘forestieri’ importanti: un giovanissimo Francesco Spagnolli nei primi anni Ottanta, quindi Vittorio Fiore fino ad arrivare a Donato Lanati. L’avventura oggi prosegue (dopo la morte di Thea) coi figli Vittorio e David, il primo mente agronomica ed enologica dell’azienda (ha imparato l’arte da Donato Lanati), il secondo responsabile amministrativo e commerciale.

VENTISETTE ettari sulle colline fra Imola e Riolo Terme, altri 26 su quelle fra Faenza e Castrocaro, nei pressi della bella Torre di Oriolo: vini dai soli vigneti di proprietà, controllo completo della filiera, dalla vinificazione al mercato, in perfetto stile Fivi (Viticoltori Italiani Indipendenti). Dopo la scomparsa di mamma Thea, giusto trent’anni fa, il ‘patriarca’ Sergio è sempre in sella alla grande e segue con finto paternalismo i figli David e Vittorio nel gestire un’azienda che per quanto cresciuta, dalle origini, rimane a conduzione familiare e artigianale. Tre uomini uniti dal ricordo della mamma, dalla passione per la viticoltura di Romagna (e dal tifo per la ‘magica’ Roma).

LA SVOLTA vera circa vent’anni fa quando, con l’aiuto di Attilio Scienza e di Francesco Bruno Lizio, la tenuta fu oggetto di un allora pionieristico lavoro di microzonazione aziendale, per conoscere la reale vocazione viticola di ogni metro quadrato dei terreni. Da lì il passo verso la gestione biologica delle vigne fu breve. Con tutta la produzione certificata biologica, già da anni, Tre Monti è stata fra i pionieri dei vini senza solfiti aggiunti (siamo alla decima vendemmia). Come dire, Sergio aveva visto lontano. Tre Monti fa il 40% di export, percentuale alta per la Romagna.

«ANCHE QUI – spiega David – l’insistenza di babbo Sergio sui mercati esteri ha aiutato non poco l’azienda a superare gli anni della crisi, dove in Italia si faceva, e in parte si fa ancora, una guerra fra poveri sui prezzi». Non è facile proporre vini romagnoli – aggiunge – «si sbatte (soprattutto in Italia) contro ancestrali pregiudizi oppure con la poca conoscenza (questo all’estero)». Le soddisfazioni comunque non mancano, fra grappoli, bicchieri, e tralci, il palmarès di Tre Monti è importante. La soddisfazione più grande? «Senz’altro vedere, per la prima volta nella storia, un’Albana di Romagna, il nostro Vitalba, inserito fra i migliori 25 vini al mondo (Wine Enthusiast, 2017), oppure il vino cui siamo più legati, Il Thea Rosso (dedicato alla mamma) presente nella carta dei tre ristoranti pluristellati di Alain Ducasse».