Martedì 16 Aprile 2024

"IL SETTORE É IN SALUTE MA L’ENERGIA CI PREOCCUPA"

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di Pierluigi Masini

Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica. Qual è lo stato di salute delle industrie ceramiche?

"Il settore, nonostante la pandemia e il lockdown, mostra una reazione molto positiva. Nei primi sei mesi di quest’anno abbiamo un fatturato superiore ai 3 miliardi e con un incremento del 12% sul 2019".

Da cosa è dipeso?

"Ci sono due fattori. Il primo è l’effetto psicologico che i cittadini hanno vissuto con il lockdown, tutta l’attenzione è stata posta sulla casa, anche come investimenti. Secondo: il consumatore ha capito molto bene che la ceramica è un materiale molto più igienico di altri, non brucia e non emette gas tossici, è salubre e resiste all’attacco chimico dei prodotti usati per le sanificazioni delle strutture pubbliche, come gli ospedali. Questo rimarrà anche dopo l’emergenza Covid".

Quali sono i valori della ceramica made in Italy?

"Essenzialmente tre. Il primo è il design, la capacità di fare un oggetto bello, nella ceramica come nella moda e nelle automobili. É il differenziale di base che noi italiani riusciamo sempre a mettere in campo e che porta anche a un prezzo medio di vendita che è alto più del doppio rispetto ai nostri concorrenti. Senza questo, la capacità di esportazione, che per noi vale l’85% della produzione, cadrebbe. Secondo elemento è l’innovazione tecnologica. Le grandi lastre sono nate in Italia da un connubio di esperienza di industrie che fabbricano macchine e impianti e industrie produttrici di ceramica. Se 30 anni fa mi avessero detto che si potevano produrre lastre di tre metri di lunghezza e di sei millimetri di spessore avrei avuto qualche dubbio a crederci".

E il terzo?

"Lo aggiungiamo proprio qui al Cersaie, dimostrando che anche sul piano ecosostenibile siamo davanti a tutti nel mondo, con risultati comprovati da una norma ISO della quale abbiamo gestito la segreteria generale. Abbiamo lavorato dieci anni per elaborarla e riguarda la sostenibilità dell’estrazione delle materie prime, del processo produttivo, del prodotto distribuito e installato e del suo riciclo a fine vita. La ceramica è un materiale che parte come alluminosilicato e finisce come alluminosilicato, lascia un’impronta sulla terra molto molto limitata".

Emergono preoccupazioni sul fronte energia…

"Il rischio che stiamo correndo è enorme. Stiamo vivendo un momento di euforia perché si vende tanto, ma molti cominciano ad avere dei sospetti perché l’incremento dei costi dei trasporti e dell’energia ci costringeranno ad aumentare i prezzi. Basti pensare che un metro cubo di gas metano costava alla fine dell’anno scorso 18-20 centesimi e oggi ne costa 80. Ma aumentare i prezzi per noi che siamo esportatori può significare perdere lavoro. I produttori che sono in Europa dovranno fare come noi, aumentare i prezzi. Ma i concorrenti sudamericani, cinesi, indiani, turchi li aumenteranno? O ci porteranno via quote di mercato?".

E sul fronte dell’ambiente invece?

"Premesso che siamo molto convinti della decarbonizzazione dell’ambiente eliminando le energie fossili in tempi più rapidi possibili, e che il nostro settore negli ultimi cinque anni ha investito in tecnologie più del 10 per cento del fatturato, la cosa va affrontata con scienza ed esperienza, non con emotività. Dobbiamo ridurre le emissioni di CO2 nell’ambiente e da 30 anni usiamo il metano, perché i nostri governanti ci hanno sempre detto che è energia pulita ed è il carburante fossile che emette meno anidride carbonica. Alternative al momento non ne abbiamo. I nostri bruciatori possono essere anche alimentati ad idrogeno, ma dove lo troviamo?".

Chiarissimo. E per quanto riguarda la legge europea sulle emissioni, la Emissions Trading System?

"L’industria viene progressivamente privata di quote di emissione di CO2 e deve comprarle sul mercato. Con il particolare che sul mercato non ci sono solo le aziende ma operano più di 240 player che fanno speculazione. E questo è un disastro. Da novembre-dicembre scorso, quando una quota costava 23-24 euro a tonnellata, oggi siamo arrivati a 63-64 euro. E se un’azienda deve ampliare lo stabilimento con un nuovo forno, e deve comprare i diritti all’emissione di CO2, si trova a pagare molto di più. Abbiamo commissionato uno studio a Nomisma e ci ha detto che, con questo meccanismo, tra dieci anni il margine operativo sarà azzerato. Il rischio è che si crei una delocalizzazione della produzione fuori dall’Europa".