Josè Machin, ai miei figli dirò: le offese ti fanno male solo se lo permetti

Josè Machin, Centrocampista Parma

Josè Machin, Centrocampista Parma

"Se tu non lasci che una cosa ti colpisca, anche le offeste razziste sono inutili. In Spagna va meglio che qui: un caso Koulibaly non c’è stato"

NATO A Bata (Guinea Equatoriale) ETÀ: 23 anni SQUADRA: Parma RUOLO: Centrocampista

 

È il rinforzo più fresco del Parma, arrivato al mercato di gennaio. Ma anche se l’anagrafe dice che Josè ‘Pepìn’ Machin, nato 22 anni fa in Guinea Equitoriale, è ancora una giovane promessa che comunque conta presenze nella nazionale maggiore, in realtà di vita alle spalle ne ha già messa tanta. E non sempre le esperienze sono state positive. Nato a Bata, trasferito in Spagna da bambino, cresciuto nel vivaio del Barcellona, Machin è già un piccolo giramondo: perché ha vinto uno scudetto con la Primavera della Roma tre anni fa e dopo ha giocato nelle prime squadre di Trapani, Brescia, Lugano e Pescara, prima di arrivare nei ducali in serie A. Nel dicembre scorso, quando il Pescara sbancò Salerno, visse in prima persona l’episodio più bruciante, con i buu razzisti di una parte dei tifosi dell’Arechi prontamente stoppati dai sostenitori campani meno beceri. Machin, lei ha vissuto a lungo in due paesi europei: c’è differenza tra Italia e Spagna, in materia di razzismo? «Un po’ sì, anche se comunque il problema esiste in entrambi i paesi. In Spagna un po’ meno, ma qualche episodio l’ho visto anche lì». Parliamo dei nostri: quello di Salerno fu il caso peggiore, nella sua carriera. «Sì, quella volta secondo me ci fu anche un equivoco. Avevamo segnato, ero andato a festeggiare il mio compagno Mancuso che aveva realizzato una tripletta, rimontammo dallo 0-2 e poi vincemmo. Io volevo esultare con lui, i tifosi della Salernitana pensarono che volessi prendere in giro loro e oltre ai fischi qualcuno fece versi razzisti. Ma lo zittirono gli altri tifosi, anche se all’uscita dal campo mi riempirono di insulti, e non fu bello comunque». Andò male anche sui social network. «Sì, nei giorni successivi me ne scrissero di tutti i colori, ma lì è più facile perché non c’è la persona di fronte, sono capaci tutti di insultare con la tastiera. Io ho Instagram e Facebook, furono giorni pesanti». Perché dice che in Spagna va meglio? «Perché penso al caso di Koulibaly, per esempio. Ma anche al fatto che quando ero nella Primavera della Roma ne arrivavano parecchi, di quel tipo di insulti. A volte anche negli spogliatoi qualcuno pensa di scherzare, ma non capisce che magari c’è chi soffre». Come si può intervenire? «Secondo me non è giusto punire un intero stadio per il comportamento di una parte della tifoseria. Capisco che qualche provvedimento si debba prendere, mi sembra giusto che l’arbitro interrompa la partita, per esempio. Però con la squalifica del campo per la partite successive finiscono per pagare anche quegli spettatori che non hanno fatto niente. Io farei in un altro modo». Come? «L’interruzione della partita è la prima cosa da fare. Poi, siccome gli stadi hanno gli steward e gli addetti alla sicurezza, e si vede benissimo chi è che sta facendo i cori razzisti, farei allontanare quei tifosi dagli steward, e solo dopo farei riprendere la partita». Non crede che sia anche una questione più generale, di educazione e di cultura? «Penso proprio di no. Se fosse quello il problema, i tifosi che insultano chi ha la pelle di un altro colore lo farebbero anche con i giocatori della propria squadra. L’Inter ne ha, di atleti dalla pelle scura come me, però i suoi ultras se la sono presa solo con Koulibaly. Secondo me è un discorso più ampio e diverso, si tratta di un modo sbagliato di tifare contro, che si esprime nella brutta forma del razzismo». Non crede che si dovrebbe comunque iniziare a parlare ai bambini, per cambiare il futuro? «Io non ho figli, ma quando ne avrò cercherò di spiegare due cose: che tutti siamo uguali perché il colore della pelle non fa differenza, ma anche che le offese e gli insulti ti possono fare male solo se tu lo permetti. Se tu non lasci che una cosa ti colpisca, anche gli insulti razzisti sono inutili». Ha senso. Come si trova a Parma? «Benissimo, ho trovato un bel gruppo, un allenatore molto bravo e uno staff che riesce a metterci a nostro agio, mi aiutano tantissimo». Lei è musulmano? «No, sono cattolico». Quindi può assaggiare il prosciutto e le altre delizie del luogo... «Ah ah. Sì sì, non ci sono problemi con il maiale. Devo solo stare attento alla dieta da atleta».