Antonio Cabrini, il segreto è nella prevenzione a scuola e dove crescono i giovani

Antonio Cabrini, Ex CT Nazionale Femminile

Antonio Cabrini, Ex CT Nazionale Femminile

"Sospendere le gare darebbe partita vinta a chi dalle curve vorrebbe determinare le vicende del campo"
NATO A Cremona
ETÀ: 62 anni
PROFESSIONE: Allenatore
Campione del mondo con Bearzot nell’82, sei scudetti con la Juve e tutte le Coppe nel palmares: dalla Champions, all’Intercontinentale. Antonio Cabrini, fidanzato d’Italia negli anni Ottanta con i suoi riccioli neri e il sorriso ammaliante, è un vero monumento del calcio italiano. In tempi più recenti è stato commissario tecnico della Nazionale femminile fino all’agosto 2017, impostando poi il lavoro che ha consentito di avere una squadra azzurra nelle finali mondiali, oggi si occupa di comunicazione per alcune aziende legate al mondo dello sport. Un ruolo nel quale la sua sensibilità per i temi sociali, e l’educazione all’integrazione in particolare, è determinante.

Dal suo osservatorio privilegiato, e da paladino di un calcio diverso come era sicuramente quello degli anni ‘80, come giudica le incursioni del razzismo nel mondo del calcio? «Episodi come quello capitato recentemente a San Siro con Koulibaly non sono fortunatamente la norma ma l’eccezione per la nostra società e il nostro ambiente. C’è sempre, nelle curve italiane, qualche imbecille che ha il potere di trascinare gli altri nella sua follia. Bastano poche decine di cretini per criminalizzare uno stadio intero e questo a mio modo di vedere non è assolutamente giusto». Cosa si dovrebbe fare, in concreto, per fermare questi eccessi? «Negli impianti di oggi c’è la possibilità di individuare i violenti e di far pagare soltanto a loro il prezzo di quei gesti insensati. Mi spiego meglio. Le telecamere a circuito chiuso e la vigilianza degli steward sono in grado di segnalare e identificare chi va allo stadio per delinquere o per offendere. La tecnologia che abbiamo a disposizione ai nostri giorni è talmente sofisticata da consentirci di individuare uno per uno i partecipanti ad un evento pubblico: utilizziamola per migliorare le cose, con un contributo concreto. Inutile invece, a mio parere, penalizzare intere curve o multare le società. Bisogna scovare i razzisti, punirli con pene severe e metterli al bando dagli stadi». È d’accordo con la sospensione della partita per cori razzisti? «La misura risponde a un’etica precisa e ha un senso profondo. Ma è anche un’arma a doppio taglio: non bisogna abusarne perché altrimenti si fa il gioco dei razzisti, di chi pretende di deteminare, dal cuore della curva, le vicende che si svolgono in campo. E poi può fare tanto la prevenzione». Prevenire in che senso? «Con un lavoro culturale a monte, con una sana educazione nelle scuole e negli altri ambienti dove si formano i giovani. È principalmente lì che devono mettere radici valori come convinvenza, tolleranza, multiculturalità». Un po’ come ha fatto Fiona May per conto della Federcalcio con l’iniziativa «Razzismo, una brutta razza». «Ho seguito con curiosità quella campagna nelle scuole e negli ambienti sportivi frequentati da giovanissimi e la trovo vincente. Spiegare ai ragazzi come e perché si può vivere bene insieme, a prescindere dal colore della pelle, dalla religioni e dalle etnie è la base di quel lavoro di prevenzione che citavo prima. E qui il terreno è fertile perché i bambini non sono razzisti, nascono aperti e tolleranti. Siamo noi a doverli incoraggiare, a confortare questa visione del mondo, a seguirli nell’educazione a questi valori». Ci sono altre forme di razzismo e di discriminazione, nel calcio e nei suoi dintorni, come quelle contro gli atleti gay... «In passato ho detto che il calcio non è pronto per accettare pubbliche confessioni di calciatori gay, che l’ambiente è ancora troppo rigido per assorbire outing di questo tipo. Ma credo che sia sempre meno vero. Cambia la società, si aggiornano i costumi e presto anche il mondo del calcio potrà accettare più serenamente pubbliche rivelazioni che riguardino la sfera del sesso». Anche le donne del calcio sono state discriminate, divenute oggetto di scherno... «Spesso si sottovaluta la crescita tecnica di un settore molto impotante del movimento, si pensa che le donne siano l’ultima ruota del carro. E invece le azzurre al mondiale ci sono andate e gli uomini sono rimasti a guardare». Come cancellare i pregiudizi contro le calciatrici? «Loro per prime possono fare un passo importante, alzando il tasso di professionalità. Davanti ai risultati e all’impegno totale è difficile scrollare le spalle e dire che quello femminile è un calcio minore. Mi pare che molto in questo senso si stia facendo e che tutto il movimento stia crescendo in maniera esponenziale».