{{IMG_SX}}Championships” è il nome dell’antesignano del Torneo delle Cinque Nazioni, a sua volta apparso all’orizzonte solo nel 1910 dopo l’ingresso della Francia a fianco di Galles, Inghilterra, Irlanda e Scozia. Circa l’esatta genesi della manifestazione, i quotidiani del tempo non sono di grande aiuto: i primi articoli apparsi sono datati 1893, quindi dieci anni dopo l’inizio dei confronti tra le Union britanniche, mentre va ascritto al “Times”, nel 1896, il merito di aver pubblicato per la prima volta la classifica ufficiosa. La fase pionieristica di questo sport non venne peraltro superata con l’avvento del nuovo campionato: in campo le squadre si schieravano 20 contro 20, come riportato in occasione della prima sfida internazionale tra Inghilterra e Scozia. Di conseguenza, il pack, anziché essere composto da otto giocatori come oggi, ne comprende 13 o 14. E quando, nel 1883, anche l’ultima sfida interbritannica tra Scozia e Galles viene disputata per la prima volta, si decide di far partire l’albo d’oro. Nella cronologia delle evoluzioni tattiche le due date da ricordare sono il 1877, quando Scozia e Inghilterra giocarono per la prima volta 15 contro 15, e il 1893. In quell’anno il Galles utilizzò lo schieramento contemporaneo con l’estremo (numero 15 di maglia), quattro trequarti divisi tra due ali (11 e 14), due centri (12 e 13), i mediani (d’apertura con il 10 e di mischia con il 9) e gli otto avanti del pacchetto di mischia: tre terze linee, due seconde linee, due piloni e un tallonatore.

 

Solo nel 1910 tutte le federazioni britanniche accettano ufficialmente la Francia quale quinta componente della manifestazione. E se oggi l’Italia paga forse ancora il dazio di inferiorità tecnica e di esperienza, va detto che quasi un secolo fa pure ai francesi toccò la stessa sorte, come dimostra quanto accadde nel corso di un match contro il Galles: a Colombes, sede delle partite interne del “Galletti”, i Dragoni non solo vinsero 47-5, ma addirittura si fermarono per consentire a Sagot di segnare l’unica meta dei padroni di casa.
Sulla Francia e sull’intero Cinque Nazioni si abbatte però pochi anni dopo il disastro bellico: secondo le stime, durante la Prima Guerra Mondiale muoiono circa un centinaio di giocatori (nella Seconda saranno 111) e quando si riprende a giocare capita che in Francia-Scozia del 1920 cinque giocatori in campo siano privi di un occhio. Ma c’è una successiva, pesante tegola che piove sul capo dei transalpini: nel 1931 gli organizzatori (Home Unions) decidono di escluderli dal Torneo con l’accusa di professionismo. Solo nel 1945 la Francia torna ad assaggiare il profumo del rugby internazionale grazie anche al decisivo intervento espresso da Winston Churchill agli scozzesi affinchè giocassero a Parigi, col reintegro nella manifestazione.

 

Il rugby è un gioco da villani giocato da gentiluomini di ogni classe sociale

 

Il pegno pagato ai due conflitti mondiali e Winston Churchill che estese anche al rugby il suo carisma da mediatore, non mancano altri intrecci del Cinque Nazioni con la storia del Novecento, in molti casi purtroppo in occasione di episodi drammatici. E’ il caso del “Bloody Sunday” che l’Irlanda del Nord visse il 30 gennaio 1972 quando 13 pacifici manifestanti vengono uccisi dai soldati inglesi a Londonderry. La protesta nel Paese travolge anche il Torneo: Scozia e Galles rifiutano la trasferta e così, per la prima volta dalla sua nascita, il Cinque Nazioni rimane senza vincitore. Solo nel 1997 terminerà l’embargo dell’inno “God save the Queen” in occasione delle partite giocate in Irlanda dall’Inghilterra. Decisamente più leggero è l’episodio che coinvolse Charles De Gaulle, cui il capitano francese Darrouy spedisce - dopo la vittoria di Twickenham che interrompe un digiuno di vittorie londinesi dei Coqs lungo 12 anni - un telegramma che recita così: “Presidente, missione compiuta”.

 

L’ingresso ufficiale della Nazionale Azzurra nel Sei Nazioni viene ratificato il 16 gennaio ’98, agli sgoccioli della seconda e ultima parte degli anni d’oro del XV allenato dal francese Georges Coste. In un imprevedibile ma straordinario crescendo di emozioni e vittorie, l’Italia tra il novembre del ’93 (16-9 alla Francia A1 in coppa Europa) e il 24 gennaio ’98 (25-21 alla Scozia) batte tutte le grandi del Continente ad eccezione di Inghilterra e Galles. Il problema nasce quando lo zoccolo duro, la quasi totalità dei giocatori di quella Nazionale viene lentamente a mancare, chi per ragioni anagrafiche (Marcello Cuttitta e Sgorlon, Arancio, Properzi), chi per infortuni perduranti (Paolo Vaccari) e chi per motivi drammatici (Ivan Francescato muore a causa di un arresto cardiaco il 20 gennaio’99). In questo modo il 1999, anziché rappresentare il viatico di programmazione di lancio verso l’entrata nel Sei Nazioni, si trasforma nell’anno orribile del rugby italiano, travolto prima dalle disastrose sconfitte raccolte prima nel tour estivo e poi, nonostante il cambio in panchina da Coste a Massimo Mascioletti, alla coppa del Mondo in Galles. Del XV delle meraviglie rimangono in pratica i due mediani, Dominguez e Troncon e il capitano Massimo Giovanelli ed è su di loro che, a dicembre, il neo commissario tecnico, il neozelandese Brad Johnstone, tenta di ricompattare energie, gruppo e stimoli. 

 

L’impresa, dai più giudicata impossibile, gli riesce clamorosamente il 5 febbraio 2000, giorno della prima partita nel Torneo delle Sei Nazioni, a Roma contro la Scozia. Grazie anche ai 29 punti al piede di Diego Dominguez, agli errori e alla superbia degli avversari e a una prestazione oltre le proprie possibilità, l’Italia batte 34-20 gli scozzesi campioni in carica. Purtroppo, a questo trionfo fanno seguito tre anni di buio, o meglio di Zero, nel senso delle vittorie conquistate durante la Championship. Johnstone finisce malinconicamente il suo mandato nel 2002. Gli subentra un altro ex All Blacks, John Kirwan, che rimarrà in carica fino al 2005. Con lui l’Italia disputa un discreto Mondiale nel 2003 ma, a fronte delle vittorie contro Galles (2003) e Scozia (2004), nel 2005 deve subire ancora l’onta del Cucchiaio di Legno. Due anni fa, infine, la Federazione riapre la Via Francese, sei anni dopo Coste, torna un c.t. transalpino: Pierre Berbizier. Con lui, ex mediano ed ex guida tecnica dei Galletti, l’Italia compie il salto di qualità. Non solo gioca alla pari praticamente tutte le partite del Sei Nazioni, ma per la prima volta non perde una gara esterna (a Cardiff, nel 2006) e addirittura, l’anno scorso, va a trionfare a Murrayfield contro la Scozia. Vincendo anche la partita successiva, a Roma e sempre contro il Galles, riesce a conquistare per la prima volta due successi nella stessa edizione.