Imparare a fare pausa, ecco come combattere la rabbia e allenare l’accettazione
Fermarsi per trasformarsi: il potere della pausa consapevole tra neuroscienza, mindfulness e autocompassione

Imparare a fare pausa
Roma, 15 maggio 2025 – Fermarsi è un atto rivoluzionario. Tara Brach, psicologa clinica e insegnante di meditazione, chiama questa azione pausa sacra, un gesto semplice ma non scontato, capace di interrompe il flusso della reazione automatica, creando uno spazio di consapevolezza dove prima c’era solo urgenza.
Il momento in cui scegliamo di non reagire alla rabbia, alla frustrazione o all’ansia con la solita immediatezza che contraddistingue il comportamento quotidiano può diventare il primo passo per cambiare il nostro modo di essere. Una strategia efficace contro lo stress e in grado di migliorare le relazioni della nostra vita che vorremmo trasformare.
Lo spazio sacro della pausa
Un fatto che tocca molti di noi, spiega Tara Brach nella nuova edizione del suo libro “Disponibilità incondizionata. Lo spirito dell’accettazione radicale” (Ubiliber, 2025) è la facilità con cui tendiamo a percepire noi stessi come inadeguati nel momento in cui non ci troviamo occupati in qualcosa. Come esprimono molti pazienti durante la terapia, è allora che scatta il bisogno di essere riconosciuti, ammirati e, in un certo senso, rassicurati.
“Convinti di non essere all’altezza, non riusciamo mai a rilassarci” scrive Tara Brach: “Stiamo in guardia, monitorandoci alla ricerca dei nostri punti deboli. Quando li troviamo, ed è inevitabile che sia così, ci sentiamo ancora più insicuri e meno inadeguati. Allora dobbiamo sforzarci ancora di più. La cosa buffa è che… non si capisce dove vogliamo andare a parare”.
Viviamo in un eterno sforzo, una parabola verso un miglioramento che sembra non solo non avere mai fine ma anche non risultare mai sufficiente e che, invece di stimolare la nostra creatività e ispirazione, finisce per schiacciare la fantasia, frustrare e farci sentire perdenti nel confronto con gli altri.
Sentirsi sempre mancanti, incompleti, ecco la trappola dell’inadeguatezza. La domanda su cui è possibile avviare un nuovo discorso interiore è: come sarebbe se potessi accettare questo momento esattamente per quello che è? Si tratta di un interrogativo in grado di trasformarsi in una meditazione quotidiana e, con la pratica, portare a un cambiamento di paradigma nel modo in cui affrontiamo la vita.
Tara Brach parla spesso della pausa consapevole come momento in cui "ritorniamo a casa", interrompendo il pilota automatico. Questa pratica trova riscontro nel concetto di neuroplasticità: fermarsi anche per pochi secondi in uno stato di consapevolezza può indebolire i circuiti abituali (es. reattività rabbiosa) e rafforzare nuove risposte più compassionevoli.
Il “non-fare”, lezione zen antichissima, nel mondo in cui viviamo è estremamente estraneo e difficile. Eppure, quanto potrebbe essere resiliente e positivo un atteggiamento di pausa e osservazione di sé davanti a tutte le situazioni in cui sentiamo di perdere le staffe e la pazienza, anche per quanto riguarda l’educazione dei più piccoli.
La scienza del cambiamento
L’arte della pausa, centrale nella meditazione e nel concetto di mindfulness, diventa un allenamento anche per la vita quotidiana perché può diventare un modo, semplicemente, per affrontare ciò che ci accade. Prima di reagire… stop, respira.
La neuroscienza conferma che non si tratta solo di un’intuizione spirituale. Studi condotti da Richard Davidson all’Università del Wisconsin mostrano come la pratica della mindfulness modifichi la struttura del cervello, aumentando l’attività della corteccia prefrontale — l’area associata alla riflessione e alla regolazione emotiva — e riducendo l’attivazione dell’amigdala, sede delle risposte impulsive.
In altre parole, ogni pausa consapevole rafforza un nuovo circuito, un sentiero alternativo rispetto alle reazioni abituali. Daniel Siegel parla di mindsight, una forma di consapevolezza che ci permette di osservare i nostri stati interiori senza identificarci completamente con essi. È una forma di presenza che si coltiva nel tempo e che apre alla possibilità di scegliere: non reagire come sempre, bensì restare.
Anche nella psicologia contemporanea un approccio legato alla consapevolezza e all’accettazione ha preso forma attraverso modelli come l’Acceptance and Commitment Therapy. Secondo Steven C. Hayes, accettare le emozioni difficili — invece di evitarle o combatterle — è la chiave per creare un cambiamento autentico. La pausa non è dunque una fuga, ma un atto intenzionale di apertura.
Kristin Neff, pioniera degli studi sull’autocompassione, insiste sul valore trasformativo di questa scelta: fermarsi con gentilezza, riconoscendo il proprio dolore senza aggiungervi giudizio, aiuta a disinnescare il meccanismo dell’autocritica e a costruire nuove abitudini di cura.
Così, la pausa diventa una pratica quotidiana di libertà. Ogni volta che scegliamo di respirare, ascoltare, stare, stiamo insegnando al nostro cervello un altro modo di vivere. Un modo in cui la consapevolezza apre uno spazio nuovo, per una risposta più saggia e più umana, più autenticamente nostra.