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Tumore del seno, test decisivi per valutare chi farà la chemio

Cinieri, presidente Aiom: profilazione genomica orienta la scelta delle terapie nel cancro mammario. Ma alcune regioni sono rimaste indietro

13/07/2022
Tumore seno mammella

Gli studi clinici hanno chiarito in modo definitivo che è possibile stabilire chi trae beneficio dalla chemioterapia e chi no tra le pazienti con tumore del seno in fase iniziale. Esistono test affidabili che permettono di distinguere tra due gruppi, evitando di somministrare cicli di chemio che si rivelerebbero inutili qualora prescritti a quelle donne che, rientrando in un preciso profilo, ne trarrebbero minore giovamento.

 

Diagnosi differenziale

In presenza di cancro al seno la corretta identificazione tra donne che rispondono alla chemioterapia e donne da avviare a trattamenti alternativi, secondo i medici, rimane un obiettivo fondamentale sotto vari punti di vista. Vanno infatti considerati sia i costi diretti della procedura (che si traducono in sprechi, ansie e sofferenze) sia quelli indiretti, legati alla mancata produttività causata da trattamenti debilitanti.

 

Iter burocratici

“Le Regioni hanno emanato apposite delibere per rendere operativo il decreto attuativo ministeriale, ma non tutte stanno utilizzando le risorse disponibili, in attesa della conclusione dei bandi di gara”, ha affermato Saverio Cinieri, presidente nazionale AIOM, Associazione italiana oncologia medica, in occasione di una conferenza stampa promossa da Intermedia. La conseguenza è che, in Italia, “i test genomici, a un anno dalla firma del decreto attuativo, devono ancora essere utilizzati in modo uniforme sul territorio. Da un lato, le lungaggini degli iter burocratici a livello regionale impediscono ancora ad alcuni centri di senologia di prescrivere gratuitamente i test. Da qui la situazione a macchia di leopardo nel loro utilizzo”.

 

Trattamento adiuvante

Va migliorato il livello di conoscenza e di preparazione degli oncologi sugli strumenti, molto importanti, che permettono di applicare il concetto di medicina di precisione, supportando i clinici nella personalizzazione delle terapie. “L’obiettivo del trattamento adiuvante, cioè successivo alla chirurgia, è offrire a ogni paziente con carcinoma mammario in fase precoce le migliori possibilità di cura, limitando il rischio di ricaduta“,  sottolinea Massimo Di Maio, segretario nazionale AIOM . La maggioranza dei casi di tumore della mammella è di tipo luminale, cioè esprime i recettori estrogenici ma non la proteina HER2.

 

Test di profilazione

Dopo la chirurgia, il trattamento sistemico prevede l’utilizzo della terapia ormonale nei casi considerati a basso rischio oppure l’aggiunta della chemioterapia adiuvante alla terapia ormonale, in presenza di un rischio elevato. Nella malattia luminale a rischio intermedio sussiste però una significativa incertezza nelle decisioni da prendere, da qui l’importanza dei test di profilazione genomica, che permettono di identificare con maggiore precisione le pazienti che possono beneficiare della chemioterapia dopo l’intervento.

 

Valutazione

Attraverso i test genomici è possibile valutare  la probabilità che la malattia si possa ripresentare dopo l’intervento chirurgico. Sulla misura di questo rischio si ricava l’indicazione eventuale a proporre cicli di chemio aggiuntivi. In Italia si contano attualmente cinque test di analisi di espressione genica (Oncotype DX, MammaPrint, Prosigna, Endopredict, Breast Cancer Index) che si differenziano per numero di geni studiati e per tipo di validazione.  “Recentemente il National Comprehensive Cancer Network – sottolinea il professor Cinieri –  ha aggiornato le linee guida riconoscendo Oncotype DX a 21 geni come il test predittivo in grado di definire il beneficio della chemioterapia nel carcinoma mammario in stadio iniziale con linfonodi positivi, anche con micrometastasi. Questo test è il solo classificato come preferito con alti livelli di evidenza sia per le pazienti con linfonodi negativi sia nelle donne in post menopausa con linfonodi positivi”. Nella stessa direzione vanno le raccomandazioni dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO).