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Tre tipi di vitamina D: ecco quale scegliere

Davide Gatti: "Il medico valuta se dare un apporto immediato o creare una riserva che l’organismo utilizzerà al bisogno"

23/10/2022 - di Gloria Ciabattoni

In Italia sono 5 milioni le persone affette da osteoporosi, che colpisce il 23% del sesso femminile con età superiore ai 40 anni (in prevalenza sono donne in post menopausa) e il 14% degli uomini over 60 anni. Nella cura di questa patologia ha un ruolo importante la vitamina D: ce ne parla il Prof. Davide Gatti, Professore Associato di Reumatologia all’Università degli Studi di Verona.

 

Professore, quale è il ruolo della vitamina D nel trattamento dell’osteoporosi?

“Questa vitamina da sola non è sufficiente, ma diventa importante se associata ai farmaci per la cura di questa malattia. La terapia con alendronato e colecalciferolo è stata la prima ad essere disponibile e rimane una delle strategie che possiamo utilizzare efficacemente contro l’osteoporosi. La vitamina D per il farmaco è come un detonatore per la bomba. La terapia specifica rimane l’unico mezzo per ridurre il rischio di frattura o di ri-frattura in chi soffre di osteoporosi, ma purtroppo in Italia meno del 20 % delle donne già fratturate è trattato, come ci dicono i dati dell’AIFA. I farmaci ci sono e associati alla vitamina D possono ridurre del 50% il rischio di avere fratture, ma bisogna aumentare la consapevolezza nelle pazienti e non pensare che basti la vitamina D da sola”.

 

Manca l’informazione?

“Non a livello medico. Nella Nota 79 dell’Aifa si legge che “Prima di avviare la terapia con i farmaci sopraindicati, in tutte le indicazioni è raccomandato un adeguato apporto di calcio e vitamina D, ricorrendo, ove dieta ed esposizione solari siano inadeguati, a supplementi con sali di calcio e colecalciferolo o calcifediolo. È stato documentato che la carenza di vitamina D può vanificare in gran parte l’effetto dei farmaci per il trattamento dell’osteoporosi. E questo riguarda le persone che si sono già fratturate vertebre o femore a causa della fragilità ossea, donne in menopausa a rischio, chi segue determinate terapie come ad esempio con il cortisone o alcune terapie per il carcinoma della mammella o della prostata. La Nota 96 regolamenta l’uso dei farmaci e raccomanda l’integrazione con vitamina D. Insomma gli strumenti ci sono“.

 

A cosa serve la vitamina D?

“La chiamiamo abitualmente vitamina che la pelle sintetizza quando è esposta al sole, oppure mangiando certi alimenti ma in realtà essa viene trasformata dall’organismo, in base alle proprie necessità, in un vero ormone determinante per l’assorbimento del calcio a livello intestinale”.

 

Colicalciferolo, calcifediolo e calcitriolo sono varianti disponibili della vitamina D: quale è la differenza?

“A volte si fa un po’ di confusione. Il colecalciferolo è l’elemento più fisiologico e prodotto dalla pelle. Esso poi passa dal fegato e viene trasformato in calcifediolo. Colecalciferolo e calcifediolo sono entrambi metaboliti non attivati cioè che non hanno attività ormonale ma sono molecole diverse. La vitamina D (colecalciferolo) che assumiamo viene immagazzinata nell’organismo che la utilizza in base ai propri bisogni. Al contrario il calcifediolo non può essere stoccato e viene utilizzato immediatamente (nel giro di 1-2 settimane) fornendo una risposta standard sia in soggetti con una grave ipovitaminosi sia in chi ne ha solo un moderato bisogno. Il calcitriolo è la formulazione attiva in termini ormonali ha una emivita di poche ore e non ha alcun tipo di controllo da parte dell’organismo. Quest’ultima molecola non può correggere la carenza di vitamina D dove non deve essere mai usata. Essa è utile a livello specialistico in caso insufficienza renale grave e nei pazienti con asportazione delle paratiroidi”.

 

Quindi quale è meglio impiegare, tra colecalciferolo e calcifediolo?

“Dipende. Il calcifediolo è rapido nell’innalzare i livelli di vitamina D ma avendo una emivita breve deve essere assunto ad intervalli non superiori i 10-14 giorni. Inoltre necessita di un maggior controllo per i possibili rischi di ipercalciuria (esagerata perdita di calcio dalle urine). Il colecalciferolo è giustamente il più usato perché l’organismo lo utilizza in base alle proprie necessità e a fronte della stessa dose il paziente risponde in modo più controllato. Esso è ideale anche in associazione coi farmaci contro la osteoporosi perché tutti questi farmaci hanno dimostrato la loro capacità antifratturativa sempre in studi di associazione solo con il colecalciferolo. Il medico di famiglia ha a disposizione diverse sostanze e può scegliere quella giusta ma deve sapere i vantaggi e gli svantaggi anche in base all’obbiettivo: curare una ipovitaminosi D è una cosa, trattare con l’associazione vitamina D e farmaci specifici l’osteoporosi è un’altra”.

 

La carenza cronica indebolisce anche i muscoli

L’osteoporosi è la più comune malattia metabolica cronica delle ossa, una patologia silente che comporta il deterioramento dell’architettura ossea e la riduzione della massa minerale: così aumenta la fragilità dell’osso e c’è un rischio maggiore di fratture spontanee o a seguito di piccoli traumi. Dopo i 50 anni, nel mondo, una donna su 3 e un uomo su 5 corrono il rischio di una frattura per osteoporosi e in media se ne verifica una ogni 3 secondi. Le fratture da fragilità portano un notevole disagio nella vita di una persona, rendendo spesso difficili le attività quotidiane come mangiare, vestirsi, fare la spesa o guidare e riducono l’attesa di vita.

 

Per prevenire l’osteoporosi è indispensabile la diagnosi precoce, mantenere un corretto stile di vita con un sufficiente apporto di calcio e vitamina D. La vitamina D, spiega il professor Davide Gatti, è un nutriceutico da somministrare a chi ne è carente, cosa che si accerta con una semplice analisi del sangue. Una carenza cronica soprattutto nei soggetti anziani può portare non solo ad un indebolimento delle ossa ma anche dei muscoli con difficoltà nel compiere azioni semplici come alzarsi da una sedia, con conseguente rischio di cadute e di fratture.

 

Dice il professore: “Ci sono pazienti giovani e sane che mi chiedono se è utile assumere la vitamina D, e io rispondo che non lo è se l’organismo ne produce a sufficienza. È più probabile ne possano aver bisogno le loro mamme o nonne, se sono ultrasettantenni!”. Chiarisce il professor Gatti che anche l’alimentazione è utile, ma spesso non sufficiente, infatti questa vitamina si trova nel fegato di merluzzo, nei pesci grassi, nel tuorlo d’uovo, nei formaggi grassi, nella carne di fegato e, unici vegetali, nei funghi. Non sono molti, e non sono graditi a tutti.

 

Circa il sole, alle nostre latitudini è efficace solo per un paio di mesi all’anno, ma bisognerebbe esporsi ai suoi raggi senza protezioni solari, cosa sconsigliabilissima perché comporterebbe il rischio di danni importanti alla pelle. Per un paradosso, i più carenti di vitamina D sono le popolazioni mediterranee quali Italia, Spagna, Grecia, mentre quelle nordiche non lo sono anche se l’esposizione al sole è bassa. E non solo perché seguono una dieta più ricca dei cibi di cui sopra, ma soprattutto perché in quei paesi c’è da anni l’abitudine di fortificare molti cibi con questa vitamina.