Se la connessione fra cervello e organi interni è debole, aumenta la probabilità di provare vergogna del proprio aspetto esteriore
Quanto apprezziamo il nostro corpo, o quanto al contrario ne siamo insoddisfatti, dipenderebbe anche dal collegamento fra il cervello e gli organi interni, una dinamica che agisce senza che ne abbiamo una percezione cosciente. Secondo una nuova ricerca, meno il cervello è efficiente nell’elaborare i segnali che arrivano “da dentro”, più aumenta la possibilità che proviamo vergogna del nostro aspetto e preoccupazione per il nostro peso. Se verrà ulteriormente confermato e approfondito, lo studio potrebbe avere implicazioni terapeutiche per aiutare chi vive condizioni di disagio nei confronti del proprio aspetto.
Condotto da un team della Anglia Ruskin University, della Perdana University di Kuala Lumpur e dell’Istituto Italiano di Tecnologia, l’esperimento ha coinvolto 36 adulti inglesi che come prima cosa si sono sottoposti a una serie di valutazioni dell’immagine corporea, in modo da quantificare i sentimenti di apprezzamento del proprio corpo e quelli invece legati alla vergogna e alla preoccupazione. Di ciascun soggetto è stata quindi misurata l’attività elettrica delle connessioni interne, ossia quei segnali elaborati inconsciamente che corrono da cuore e intestino verso il cervello “fornendogli senza sosta informazioni aggiornate sullo stato interno del corpo”.
“Abbiamo scoperto che quando il cervello è meno reattivo nei confronti di questi segnali impliciti dall’interno del corpo, più è probabile che una persona abbia una visione negativa del proprio aspetto esteriore“, dice una delle autrici dello studio, Jane Aspell; “Potrebbe essere che quando il cervello ha una connessione più debole con l’interno del corpo, finisca per porre maggiore enfasi sull’esterno e che quindi l’aspetto diventi molto più importante nella valutazione di se stessi”.
Non è chiaro il motivo per cui in alcune persone il cervello elabori con maggiore efficienza i segnali degli organi interni; si tratta forse di differenze neuronali e anatomiche ancora da stabilire. Ma già allo stato attuale, “Le misurazioni dei segnali del cuore e dell’intestino che abbiamo utilizzato potrebbero potenzialmente funzionare come un indicatore biologico utile a identificare, e forse anche a prevedere, una percezione negativa del corpo e le condizioni ad essa associate, come ad esempio i disordini alimentari“, conclude un’altra autrice, Jennifer Todd.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Cortex.