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Sostituzioni per maternità, corsa a ostacoli se lavori in ospedale

Nicla La Verde, di Women for Oncology Italy, solleva il caso: donna medico e mamma, le due cose insieme sono difficili da realizzare

30/04/2022

In Italia la lavoratrice madre è tutelata da misure quali l’obbligo di astenersi dal servizio nei 5 mesi di congedo, la possibilità di fruire della maternità in modalità flessibile, la percezione di un’indennità economica. Purtroppo, l’efficacia della normativa contrasta con una dimensione sociale caratterizzata da frequente fuoriuscita delle lavoratrici madri dalla cornice occupazionale, con un forte impatto sulla partecipazione femminile al lavoro, e indirettamente sul bassissimo tasso di natalità in Italia.

 

Nicla La Verde, medico dirigente dell’associazione Women for Oncology, è uscita allo scoperto, si è fatta portavoce delle colleghe che in Italia si vedono preclusa la sostituzione temporanea. “Una dipendente ospedaliera che decide di vivere la sua maternità – afferma la dottoressa – incontra molti ostacoli reali”.

 

La legge prevede la sostituzione per maternità, ovvero che un altro medico subentri in vece della futura mamma, ma lei dice che numerosi fattori ne rendono complicata la realizzazione. Quali?

“Prima di tutto si trovano pochissimi medici specialisti in oncologia disponibili a effettuare le brevi sostituzioni previste per la maternità, solitamente di 5 mesi. Inoltre, le amministrazioni spesso sono sprovviste di fondi sufficienti per pagare un sostituto della collega in maternità. Nella migliore delle ipotesi, una professionista viene sostituita solo per i mesi in cui è assente, senza tener conto del fatto che, anche rientrando in servizio al terzo mese, non potrà coprire i turni di guardia notturna fino al compimento del primo anno di età del bambino”.

 

Preoccupa la denatalità, parliamo tanto di calo delle nascite, crescita zero, incentivi alla ripresa demografica. In pratica cosa accade in corsia?

“Un primario sa già che una parte del lavoro della collega assente ricadrà sugli altri medici in organico. La possibilità di avere una sostituzione dipende quindi perlopiù dalla sensibilità dei quadri e dalle disponibilità economiche delle amministrazioni, visto che il costo della sostituzione di maternità è in buona parte a carico dell’azienda ospedaliera. Ad aggravare il problema, è il rapporto personale che si instaura tra medico e paziente in un reparto oncologico: trattandosi di una patologia cronica e grave, è importante che il medico sostituto rimanga più a lungo possibile nella struttura, così da favorire una più razionale continuità nella cura”.

 

Dalla gravidanza allo svezzamento, com’è possibile instaurare  meccanismi virtuosi per tutelare le lavoratrici?

“Rendere efficace il principio della sostituzione per maternità dovrebbe essere un passo concreto, quando parliamo di riorganizzazione del sistema sanitario. L’associazione Women for Oncology Italy, affiliata all’ESMO (European Society of Oncology) affronta queste tematiche ogni giorno. Auspichiamo meccanismi per realizzare in pratica ciò che la legge prevede ma che i fatti smentiscono. Abbiamo dovuto denunciare pressioni verso colleghe spinte a “trovare un accordo” prima di rimanere in stato interessante. Va contrastata l’idea di dover programmare le gravidanze secondo una logica di turni, atto lesivo della libertà della persona”.

 

Sul tema della sostituzione di maternità, che rivendicazione portano avanti le donne medico?

“Una delle richieste consiste nell’introdurre meccanismi premianti per quei direttori generali che consentono e tutelano le sostituzioni di maternità anche per periodi più prolungati rispetto ai mesi di assenza, così da consentire la copertura delle guardie fino al primo anno di vita del bambino. Sarebbe bene, in tema di pari opportunità, ricordare che 7  medici specialisti in oncologia su 10, in Italia, sono di sesso femminile, ma tra i primari in oncologia solo il 15% è donna. Nell’ottica del ricambio generazionale, dell’avvicendamento,  sarà necessaria un’azione di tutela per scongiurare eventuali discriminazioni, o disparità di genere”.