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Rossana Berardi “Tumore al seno, test genomici per evitare la chemioterapia”

"Gruppi interdisciplinari per profilare a livello molecolare e valutare terapie sperimentali oncologiche e anche per patologie rare"

31/10/2021 - di Pierfrancesco Curzi

Negli ultimi trent’anni la medicina ha fatto passi da gigante, compresa l’oncologia. Pensare al sistema negli anni ’90 e paragonarlo al presente sembra ingeneroso. Quello che sembrava un nemico imbattibile, con cui non poter scendere a patti, il tumore, oggi viene affrontato attraverso una moltitudine di approcci basati su qualità delle cure e servizi innovativi. Lo stesso concetto dei cosiddetti ‘cervelli in fuga’ applicato alla ricerca non regge più. Come ci conferma la professoressa Rossana Berardi, direttore della clinica oncologica dell’azienda ospedaliero-universitaria ‘Ospedali Riuniti di Ancona.

 

Professoressa Berardi, i giovani ricercatori oggi non fuggono più?
«No, oggi un ricercatore che se ne va non lo abbiamo perso, anzi rappresenta una risorsa. I giovani vanno e vengono nell’ottica del fare rete. Personalmente ho un dottorando al centro Erasmus di Rotterdam, eccellenza delle patologie toraciche, a inizio novembre un’altra inizierà una collaborazione annuale all’Harvard Medical School negli Stati Uniti, il top del top».

 

Passando ai concetti pratici, ottobre è un mese importante per l’oncologia, è così?
«Esatto, è il mese rosa e della prevenzione del tumore al seno. Coordino la Breast Unit aziendale di rilevanza nazionale con oltre 600 interventi all’anno legati alla patologia oncologica mammaria e grandi sono le novità di questi giorni. Stanno partendo i test genomici approvati l’estate scorsa a livello nazionale che consentiranno di individuare le pazienti a cui poter evitare la chemioterapia nella fase post-chirurgica. In quest’ottica, presso la nostra clinica, insiste il centro regionale di alta specializzazione in genetica oncologica. Il centro punta ad approfondire l’eredofamiliarità delle pazienti e in particolare valutare lo stato mutazionale dei geni, problema-chiave per diverse patologie a partire da quella mammaria. Il centro eroga quasi 3mila prestazioni all’anno e dà risposte sul territorio macroregionale del centro Italia».

 

Quale è stata secondo lei la chiave di volta dell’unità operativa da lei guidata?
«Le qualità certificata da organismi indipendenti. L’azienda di Ancona è sede certificata dell’unità delle sperimentazioni cliniche di Fase 1, ossia le terapie di fase precoce, fondamentali in quanto, per la prima volta nell’essere umano, vanno a valutare i nuovi farmaci. In Italia siamo tra i pochi centri certificati dall’Aifa e punto di riferimento del medio Adriatico all’interno di un network nazionale. Il nostro è l’unico ospedale d’Italia certificato per tutti i percorsi, i Pdta: Percorso diagnostico terapeutico assistenziale. Uno strumento ormai indispensabile in ambito clinico specie in oncologia dove si richiede interdisciplinarietà. Altre strutture ospedaliere certificano i servizi, i laboratori, la radiologia e alcuni percorsi, noi abbiamo puntato sull’interezza dl sistema. In questo ambito è inserita appunto la Breast Unit, oltre a certificazioni sulle patologie rare».

 

Tornando alla ricerca applicata nell’ospedale di Ancona, quali le novità?
«Nel 2021, ad aprile, è stato attivato il Corm, il Centro oncologico di ricerca delle Marche, un Cancer Center 4.0. Dopo sei mesi di attività ci sono i primi riscontri. La piattaforma telematica ci consente di applicare cure e terapie senza far spostare i pazienti, quindi con un loro rapido accesso ai percorsi. Nel periodo pandemico e la necessità di cambiare gli scenari egli approcci, le conoscenze tecnologiche hanno fatto la differenza».

 

Come si inserisce all’interno del Corm il Molecolar Tumor Board?
«Il Mtb è l’ultimo gruppo attivato nel contesto del Corm. A distanza di tre mesi dalla partenza i risultati si vedono già. Lo scopo del gruppo multidisciplinare è profilare geneticamente e a livello biomolecolare alcuni pazienti con tumori rari e altri senza alternative cliniche o per cui è indicato valutare terapie sperimentali. Una selezione dei casi candidabili ad essere discussi all’interno del MTB: da giugno ne abbiamo già analizzati 15 da tutte le Marche».

 

Le patologie oncologiche si affrontano con terapie, cure e ricerca. Lei è andata oltre, scardinando una serie di luoghi comuni, è così?
«Ho voluto allargare lo spettro degli strumenti utili per combattere le neoplasie attraverso una visione più olistica. Esperienze di grande successo come la Pink Room ad esempio, un ambiente dove le mie pazienti possono trovarsi e affrontare la patologia in maniera meno invasiva. In questi anni, specie prima dell’emergenza Coronavirus, abbiamo organizzato progetti creativi per attrarre sostegno e visibilità, dalle regate per la vita alle ‘cene stellate’ grazie alla collaborazione di grandi chef».

 

Infine, professoressa Berardi, lei si è ‘inventata’ il Tavolo contro le ‘fake news’ in oncologia, in cosa consiste?
«È un percorso multidisciplinare, con la partecipazione attiva di professionisti del mondo dell’informazione e della salute, avviato ormai da alcuni anni che punta a formare gli operatori e i pazienti sui rischi che si possono correre a causa delle notizie false in ambito sanitario. Qui si parla di area oncologica, ma l’esperimento è applicabile a tutte le discipline, specie dopo gli ultimi anni di pandemia in cui le ‘bufale’ l’hanno fatta da padrone. L’obiettivo è spingere i cittadini, specie chi affronta il dramma della patologia, a informarsi attraverso gli specialisti e non cliccando solo sui motori di ricerca».
 
 

RICERCATRICI PRECARIE, GLI UOMINI FANNO CARRIERA

 

La specialista: «Divario di genere da colmare nei ruoli universitari delle professioni sanitarie»

«In medicina ci sono più donne che uomini nei ruoli precari. Il potenziale della componente femminile dovrebbe essere valorizzato pienamente nelle attività di ricerca e didattica, sarebbe il momento di attuare, con determinazione, politiche di risoluzione della disparità per giungere a una reale equità». Così Rossana Berardi, presidente Women for Oncology Italy, durante una conversazione con Francesca Romanin sul gender gap da colmare nelle professioni sanitari e il primo sì unanime alla legge sulla parità salariale, venuto dalla Camera dei Deputati. «Un divario lo vedo purtroppo ancora, ad esempio, nelle fila dei professori associati nelle università italiane, dove il numero degli uomini nel 2018 era più del doppio di quello delle donne. Tra gli ordinari il divario è ancora più marcato mentre nei ruoli a tempo determinato, tipo assegnisti di ricerca, questo rapporto è di 3 a 1. Nelle università italiane – afferma in conclusione l’oncologa – il riassetto degli squilibri di genere, seppur visibile, è un processo ancora lento».