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Quando il mal di gola è un campanello d’allarme

Rinosinusiti acute e persistenti, con febbre e gonfiore,: meglio rivolgersi a uno specialista

18/12/2022 - di Ilaria Ulivelli

Quando i malanni stagionali, come un mal di gola o una sinusite particolarmente persistenti devono mettere in allarme perché potrebbero essere sintomi di malattie più gravi? Ne abbiamo parlato con Piero Nicolai, professore ordinario di Otorinolaringoiatria all’Università di Padova e direttore dell’Unità di Otorinolaringoiatria dell’azienda Ospedale-Università Padova, un centro di eccellenza riconosciuto a livello nazionale per il trattamento delle patologie anche oncologiche del distretto testa-collo.

 

 

Quali sono i sintomi che possono destare preoccupazione?

 

«Se un quadro di rinosinusite acuta non si risolve entro 8-10 giorni (con persistenza di ostruzione nasale, secrezione purulenta, dolori facciali e/o alterazioni dell’olfatto), si consigliano una visita specialistica con valutazione endoscopica e il ricorso alla terapia antibiotica per un periodo di almeno dieci giorni. I sintomi che devono far sospettare una complicanza sono la febbre elevata persistente, la comparsa di gonfiore e arrossamento della zona periorbitaria e il mal di testa».

 

 

I tumori del distretto testa-collo sono in aumento e, spesso, i pazienti per la difficoltà di ricevere diagnosi precoce arrivano al trattamento della malattia già in fase avanzata…

 

«Malgrado le numerose iniziative messe in atto nell’ultimo decennio, la sensibilizzazione nei confronti delle categorie di soggetti ad alto rischio nei confronti dei tumori maligni della testa e del collo (fumatori e consumatori di alcolici) è ancora insufficiente. Questo è il motivo per cui, a parte la laringe, in cui la comparsa di alterazioni della voce può precocemente portare alla diagnosi, nelle altre sedi anatomiche (cavo orale, faringe, naso e seni paranasali) la diagnosi avviene nel 60-80% dei casi in stadio avanzato».

 

 

Quali i segnali da non sottovalutare?

 

«Presenza di ulcere del cavo orale, mal di gola persistente, difficoltà alla deglutizione, ostruzione nasale specie se unilaterale, gonfiore di linfonodi del collo non devono essere trascurati dal paziente e dal medico referente».

 

 

Le nuove tecnologie e la chirurgia mininvasiva hanno contribuito a migliorare le percentuali di sopravvivenza?

 

«Purtroppo il miglioramento della sopravvivenza media dei pazienti affetti da neoplasie maligne testa-collo è stato minimo negli ultimi decenni, attestandosi attorno al 55% a 5 anni. Tuttavia c’è stato un notevole miglioramento nelle tecniche chirurgiche con l’avvento della chirurgia transorale con l’ausilio del laser CO2, del robot e, più recentemente, di sistemi esoscopici che consentono risultati oncologici sovrapponibili a quelli delle tecniche tradizionali più invasive in casi selezionati di tumori in stadio precoce-intermedio».

 

 

Quando non è possibile evitare la chirurgia classica che prevede importanti ricostruzioni?

 

«Purtroppo molte delle patologie in stadio avanzato richiedono ancor oggi procedure demolitive con ricorso a ricostruzioni che avvengono con lembi rivascolarizzati (o liberi) che hanno costituito un notevole passo avanti dal punto di vista funzionale ed estetico».

 

 

C’è un dato allarmante nel nostro Paese: quasi la metà dei pazienti viene sottoposta a trattamento dopo oltre un mese dalla diagnosi…

 

«Uno dei temi più seri riguarda il mancato invio di malati in centri ad alto volume di pazienti dove siano presenti tutte le figure professionali del team multidisciplinare, con un grado di esperienza certificato. Un’altra criticità riguarda il tempo tra diagnosi e trattamento, quasi sempre eccessivo a causa delle lungaggini organizzative nell’ottenere gli esami di stadiazione».

 

 

Come fa il paziente a orientarsi e a scegliere dove curarsi?

 

«Esistono percorsi che accertano l’adeguatezza dei centri. Basandosi su questi dati sarebbe auspicabile arrivare alla contrazione del numero di centri autorizzati a trattare pazienti oncologici: la variazione della sopravvivenza nei pazienti trattati in centri a basso o alto volume è ampiamente documentata».