Con il sostegno di:

Prostata, oncogenetica e nuove terapie

Anche gli uomini vengono colpiti dalla mutazione dei geni BRCA. Le soluzioni innovative arrivano dagli inibitori di PARP

31/10/2021

Individuare un’alterazione genica in un paziente con tumore è la nuova frontiera delle strategie in oncologia. Anche e soprattutto per il tumore della prostata, la più comune patologia neoplastica nella popolazione maschile over 65, in grado di causare la morte di circa 80 mila pazienti l’anno in Europa. In Italia, in particolare, ogni anno 37mila nuovi pazienti sono colpiti da tumore della prostata e un uomo su 15 dopo i 40 anni sviluppa questa patologia.


Capire come muta un determinato gene permette infatti di rendere la malattia un bersaglio sensibile ai nuovi farmaci chiamati “inibitori di PARP”. Questi impediscono la riparazione dei difetti nelle cellule tumorali con mutazioni BRCA1/2 portando alla morte selettiva di queste cellule. Una novità la cui portata è sottolineata dalla recente approvazione del primo farmaco di questo tipo (olaparib) da parte della Food and Drug Administration americana.

Dell’importanza dello studio delle alterazioni geniche e dei suoi riflessi sulla terapia del cancro della prostata si è discusso al 94° Congresso Nazionale della Società Italiana di Urologia (SIU).
«Quello del test genetico nei pazienti con tumori, avanzati o localizzati, è un tema dibattuto, che sta aprendo nuove frontiere», ha scritto Pasquale Rescigno, direttore del gruppo interdisciplinare di ricerca traslazionale e studi clinici (GIRT) per tumori urologici dell’Istituto di Candiolo IRCCS, Torino. Per capirne meglio la portata, però, è opportuno partire da una precisazione. «Esistono due tipi di alterazioni geniche – prosegue Rescigno – le alterazioni somatiche, presenti solo nelle cellule tumorali, che costituiscono la maggior parte dei casi; e le mutazioni germline, germinali, presenti sia nelle cellule sane che in quelle tumorali, che si riscontrano in alcuni tumori con una predisposizione genetica familiare nota, quali mammella e ovaio».

«Il tumore della prostata è spesso caratterizzato dalla presenza delle sole mutazioni somatiche, quindi senza rischio di ereditarietà. Tuttavia talvolta possono coesistere mutazioni germinali, ci troviamo di fronte a situazioni in cui vi è più di un paziente affetto da tumore nella stessa famiglia». Di qui l’estremo interesse suscitato dallo studio delle mutazioni del DNA tumorale, poiché queste alterazioni possono diventare un importante bersaglio terapeutico.


La portata innovativa e l’efficacia dei nuovi farmaci per il tumore prostatico, come si diceva, sono state riconosciute dalla FDA statunitense (la decisione è del 19 Maggio 2020), che ha approvato il primo farmaco inibitore di PARP (olaparib). «Tutti gli studi di fase II che li hanno testati – ha affermato Luca Carmignani, direttore del dipartimento urologia nell’IRCCS San Donato, Università di Milano – hanno riscontrato che un paziente su due con alterazioni di BRCA1/2 risponde al trattamento. Occorre sottolineare che circa il 7-15% di tutti i pazienti con carcinoma prostatico presenta alterazioni germline/somatiche in BRCA1/2; e che alterazioni simili sono presenti fino al 27-30% dei pazienti. Si può pertanto ipotizzare che questi nuovi farmaci possano rappresentare nell’immediato futuro un indubbio potenziale clinico nel trattamento del tumore della prostata».
I benefici dei nuovi farmaci sono stati dimostrati anche dallo studio di fase III PROfound, che ha reclutato 387 pazienti con queste alterazioni geniche e dimostrato come i pazienti che ricevevano olaparib restavano liberi dalla progressione della malattia per un tempo doppio rispetto a quelli sottoposti a un trattamento standard. Segno di un evidente beneficio anche in termini di sopravvivenza.
Alessandro Malpelo