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Paolo Gisondi: «Progressi importanti nella cura della psoriasi»

«Farmaci biologici e anticorpi monoclonali: l’obiettivo è spegnere l’infiammazione che fa sviluppare le lesioni della pelle»

20/06/2021 - di Alessandro Malpelo

L’aspetto esteriore va curato seguendo, se occorre, il consiglio del medico. Nei e lentiggini, colore e aspetto della superficie corporea, sono qualità che parlano di noi in modo grazioso. Con gli anni impariamo a convivere con i segni del tempo, ma c’è chi scopre strada facendo il significato di scocciature dai nomi strani: dermatite atopica, eczema, vitiligine, alopecia. La psoriasi in particolare è uno degli inconvenienti per i quali abbiamo fortunatamente una vasta gamma di terapie, sia per le forme lievi, moderate, sia per per quelle più impegnative. All’orizzonte si delineano farmaci sofisticati, in grado di risolvere in prospettiva anche le situazioni più complicate rimaste in sospeso. La ricerca renderà disponibili terapie via via più innovative, capaci di restituire una superficie cutanea indenne, senza tracce residue di sofferenza. Ne parliamo con Paolo Gisondi, dermatologo universitario a Verona.

 

Professore, quali i segni della psoriasi?
«Parliamo di una malattia infiammatoria della pelle a decorso cronico recidivante (cioè che ritorna periodicamente, ndr) che interessa circa il 2-3% degli italiani. Si manifesta con placche eritematose (rosse) e placche squamose bianche, in genere localizzate ai gomiti, alle ginocchia, sul cuoio capelluto, nella regione sacrale».

 

Come si arriva a capire che qualcosa non va?
«La diagnosi viene formulata durante la visita specialistica. Nei casi dubbi si può eseguire una biopsia della pelle, con esame istologico». I giovani vorrebbero una soluzione rapida e duratura. «Non esiste una regola uguale per tutti, la condotta terapeutica cambia valutando caso per caso. L’innovazione potrebbe fare la differenza, con indubbi vantaggi anche per il sistema sanitario. Oggi come oggi abbiamo a disposizione, per il trattamento della psoriasi, numerose risorse, farmaci topici a base di derivati della vitamina D, da soli o in combinazione coi corticosteroidi. C’è poi il grande capitolo dei farmaci biologici, di cui si riconoscono diverse classi (inibitori del TNF-alfa, inibitori della IL-17 e IL-23). Sono prodotti già disponibili, di documentata efficacia e sicurezza».

 

Spegnere l’infiammazione sulla pelle. Perché c’è ancora un gap da colmare?
«Perché possiamo avere trattamenti solo in parte risolutivi, nella psoriasi moderata o severa, o terapie che nel tempo perdono di efficacia. Le lesioni cutanee insorgono per la concomitanza di vari fattori. Una espressione tipica ma non esclusiva della psoriasi è il fenomeno di Koebner, che consiste nella comparsa di chiazze in conseguenza di microtraumatismi sulle parti più esposte, che innescano reazioni infiammatorie. Un terzo dei casi può accompagnarsi a un’artropatia con dolore articolare e tumefazioni (psoriasi artropatica) che può insorgere anche dieci anni dopo le manifestazioni cutanee. In questi casi lo specialista deve fare da sentinella, e coinvolgere al momento giusto il reumatologo».

 

L’isolamento da Covid sembra aver acuito il disagio.
«Le persone con malattie croniche della pelle a volte devono sopportare una lunga convivenza con la psoriasi senza poter raggiungere la remissione completa, il che ha un impatto anche a livello psicologico. Ecco perché la prospettiva di un trattamento più rapido ed efficace ha un grande valore».

 

Dei farmaci in dermatologia si è scritto e detto di tutto. Cosa resta da sperimentare?
«Coltiviamo grandi aspettative per ottenere la remissione completa anche in quella fetta di pazienti (10-20%) dove le terapie attuali perdono di efficacia. In quei casi si può cambiare classe di farmaco biologico. La novità sarà costituita dai farmaci biologici di nuova generazione come bimekizumab, cosiddetto dual inhibitor dell’interleuchina, somministrabile in autonomia, a domicilio».

 

Anticorpi monoclonali con due distinte azioni, come funzionano?
«Inibiscono sia IL-17A sia IL-17F, due citochine che svolgono un ruolo chiave nei processi infiammatori. Questa azione congiunta sopprime l’infiammazione in misura maggiore. Sicurezza ed efficacia hanno alle spalle un solido programma clinico».

 

La ricerca va avanti anche in oncologia cutanea?
«Direi proprio di sì, la ricerca nei tumori cutanei, epiteliali, melanoma, sta facendo passi da gigante. Idem per quanto riguarda le malattie bollose autoimmunitarie, legate alla presenza di autoanticorpi. Stiamo cercando farmaci alternativi al cortisone. Tutto questo senza perdere di vista cheratosi attiniche e basaliomi, altre patologie di nostra pertinenza. Per questo è sempre opportuno ricordare l’importanza di fare controlli periodici dal dermatologo ».

 

C’è un ricordo particolare, nella sua attività a contatto con i pazienti che le è rimasto impresso in tutti questi anni?
«Un ricordo che porto con me è quando, dieci anni fa, ricevetti un cenno di riconoscenza per un successo terapeutico. Era la moglie di un paziente con una psoriasi devastante che mi chiamava da casa, in assenza del marito. Una coppia giovane. Lui si vergognava. Lei mi ringraziava perché, diceva, con le nostre cure avevamo restituito la gioia di vivere a tutti».