I neonati possono ricordare? La scienza riscrive la teoria della memoria infantile

Esiste davvero l’amnesia neonatale? Ecco l’incredibile scoperta fatta misurando l'attività dell'ippocampo di 26 bambini: cosa succede a partire dai 4 mesi nel loro cervello

di MARINA SANTIN
2 aprile 2025
La scienza svela la memoria dei neonati

La scienza svela la memoria dei neonati

Sebbene durante i primi anni di vita impariamo tutto a una velocità eccezionale, da adulti non riusciamo a ricordare gli eventi specifici di quel periodo. Si è creduto a lungo che non s riescano a memorizzare le esperienze precedenti i due anni di età (raramente anche fino ai tre) perché la parte del cervello responsabile della conservazione dei ricordi, l'ippocampo, si sviluppa completamente con l'adolescenza e, di conseguenza, non riesce a codificare nei primi anni di vita momenti ben precisi, un fenomeno definito amnesia infantile. 

Un nuovo studio condotto dai ricercatori di Yale e pubblicato su Science, dimostra però che non è così e che i ricordi possono effettivamente essere codificati nel cervello fin da neonati. “Il segno distintivo dei ricordi legati a particolari occasioni, chiamati episodici – spiega Nick Turk-Browne, professore di psicologia presso la Facoltà di Arti e Scienze di Yale, direttore del Wu Tsai Institute di Yale e autore principale dello studio - è che possono essere descritti ad altre persone, cosa che i neonati preverbali non possono fare”.

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I bambini riconoscono le immagini a 4 mesi

Il team, guidato da Tristan Yates, ricercatore post-dottorato presso la Columbia University, con l’intento testare i ricordi episodici dei neonati ha mostrato a bambini di età compresa tra quattro mesi e due anni delle immagini, riproponendole successivamente accanto ad alcune nuove. “Il fatto che un bambino fissi un’immagine vista in precedenza più a lungo di quella nuova – sottolinea Turk-Browne – può significare che la riconosce come familiare".

I ricercatori, avvalendosi della risonanza magnetica funzionale (fMRI), hanno misurato l'attività dell'ippocampo di 26 neonati mentre guardavano le immagini e hanno scoperto che più era attivo, più a lungo le guardavano quando le vedevano per la seconda volta. Inoltre, la parte posteriore dell'ippocampo, dove l'attività di codifica era più forte, era la stessa associata alla memoria episodica negli adulti.

Questi risultati erano comuni a tutti i neonati ma erano più spiccati nei bambini di età superiore ai 12 mesi. “Questo effetto legato all'età – sottolinea Turk-Browne – sta portando a una teoria più completa su come l'ippocampo si sviluppa per supportare l'apprendimento e la memoria”.  

Apprendimento statistico e memoria episodica  

In precedenza, i ricercatori avevano già scoperto che l'ippocampo dei neonati di soli tre mesi mostrava un diverso tipo di memoria chiamato "apprendimento statistico". Mentre la memoria episodica si occupa di eventi specifici, l'apprendimento statistico costruisce dei modelli.

Questi due tipi di memoria utilizzano percorsi neuronali diversi nell'ippocampo: è stato dimostrato infatti che, negli animali, il percorso di apprendimento statistico, che si trova nella parte più anteriore dell'ippocampo, si sviluppa prima di quello della memoria episodica. Pertanto, dichiara Turk-Browne “pensiamo che la memoria episodica compaia più tardi, a partita da un anno di età circa”. Tuttavia, "questo nuovo studio mostra che i ricordi episodici possono essere codificati dall'ippocampo prima di quanto si pensasse in precedenza e prima di essere abbastanza adulti da poterli raccontare”.

La bella stagione bussa alle porte. I bambini inizieranno a popolare parchi e giardini. L’esposizione alla luce solare ha indiscutibilmente effetti salutari per l’organismo - basti pensare alla produzione della vitamina D - anche nell’età pediatrica. Tuttavia, è fondamentale esporsi al sole in modo prudente, sia per gli adulti, ma soprattutto per i più piccoli, perché i danni provocati possono influire sulla loro salute anche da grandi.

La 'World Health Academy of Dermatology and Pediatrics' (WHAD&P) ha riunito a Roma un panel di esperti dermatologi e pediatri internazionali, per fare chiarezza sulla fotoprotezione pediatrica ed ha realizzato un documento condiviso 'Linee di indirizzo per la fotoprotezione in età pediatrica' che, sulla base delle più recenti evidenze scientifiche, presenta un approccio globale, con gli stili di vita da seguire e i filtri da usare, per garantire efficacia e sicurezza. Fondamentale, per stilare queste buone regole, anche il contributo della FIMP, Federazione Italiana Medici Pediatri.

Via libera al divertimento, alla piscina, al sole e al mare: ma facendo tesoro dei consigli degli esperti. Bastano pochi, semplici, accorgimenti per godere appieno degli effetti positivi di una vita attiva e all’aria aperta, senza conseguenze sulla salute.

“Queste linee di indirizzo rappresentano il contributo che la WHAD&P intende offrire alla comunità medico-scientifica affinché insieme si possano proporre linee guida comuni per una fotoprotezione efficace e sicura nell’età pediatrica”, afferma il professor Fabio Arcangeli, Presidente WHAD&P. “Una recente indagine del Gruppo Fotoprotezione della FIMP ha evidenziato come la conoscenza in merito ai rischi dell’esposizione solare, dell’uso dei filtri solari e delle misure più adeguate per una fotoprotezione sicura sia ancora molto approssimativa, sia fra i pediatri di famiglia, che fra le famiglie dei loro assistiti. Per questo occorre intensificare l’opera di informazione e proporre campagne di sensibilizzazione rivolte soprattutto ai giovani, per evitare esposizioni incongrue alla luce solare e per evitare l’uso dei lettini abbronzanti”.

Cosa succede ai ricordi

“Ci sono alcune ipotesi – afferma Turk-Browne – una è che i ricordi non possano essere convertiti in memoria a lungo termine e quindi, non possano durare a lungo. Un'altra, invece, è che i ricordi permangano nel tempo dopo la codifica, ma non possiamo accedervi”.

Secondo i ricercatori, la teoria più valida è che l’amnesia infantile sia esclusivamente un problema di recupero. “Stiamo lavorando per tracciare la durata dei ricordi dell'ippocampo durante l'infanzia e stiamo persino iniziando a considerare la possibilità radicale, quasi fantascientifica, che possano durare in qualche forma fino all'età adulta, nonostante siano inaccessibili", conclude Turk-Browne.