Liste d'attesa, la situazione a un anno dal decreto. Gimbe: “Ancora nel pantano, nessun beneficio per i cittadini”
A dodici mesi dalla pubblicazione del Dl 73/2024, le misure promesse per ridurre i tempi di attesa restano in gran parte inattuate: il report della Fondazione di Cartabellotta. Fra ritardi e scontri istituzionali, milioni di italiani rinunciano alle visite

Liste di attesa anche per i ricoveri ospedalieri
Il Decreto Legge 73 del 2024, noto come "Dl Liste d’attesa", era stato annunciato come la svolta necessaria per combattere uno dei problemi più sentiti dai cittadini: i tempi troppo lunghi per accedere a visite ed esami nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Eppure, a un anno esatto dalla sua pubblicazione, le promesse sembrano essersi arenate tra la burocrazia e le tensioni tra Stato e Regioni. Nessun beneficio tangibile, infatti, è ancora percepito dai cittadini. Secondo l’ultimo report della Fondazione Gimbe, guidata dal presidente Nino Cartabellotta, "a un anno dalla pubblicazione del Dl liste di attesa abbiamo condotto un’analisi indipendente sullo status di attuazione della norma, con l’obiettivo di informare in maniera costruttiva il dibattito pubblico e politico e di ridurre le aspettative irrealistiche dei cittadini, sempre più intrappolati nella rete delle liste di attesa. Tracciando un confine netto tra realtà e propaganda".
Misure bloccate tra decreti attuativi e conflitti istituzionali
Il decreto prevedeva l’adozione di sei decreti attuativi, necessari per rendere operative le misure. Ad oggi, solo tre sono stati effettivamente pubblicati in Gazzetta Ufficiale, e con ritardi significativi:
- Piattaforma nazionale delle liste di attesa (art. 1, comma 4): adottata il 28 ottobre 2024, pubblicata il 16 aprile 2025, con quasi 4 mesi di ritardo.
- Interoperabilità tra piattaforme regionali e nazionali (art. 1, comma 3): adottata il 17 febbraio 2025, pubblicata l’11 aprile.
- Piano d’azione per potenziare i servizi sanitari nelle Regioni meno attrezzate (art. 6, comma 1): pubblicata anch’essa l’11 aprile.
Ma i problemi principali riguardano i decreti mancanti. Uno, quello sui poteri sostitutivi dell’Organismo di verifica (art. 2, comma 6), è scaduto ad agosto 2024 senza essere stato ancora approvato. Gli altri due – sulle linee guida per la disdetta delle prenotazioni (art. 3, comma 5) e sulla stima del fabbisogno di personale sanitario (art. 5, comma 2) – non hanno scadenza definita e al momento non risultano nemmeno calendarizzati.
La piattaforma promessa: un cruscotto ancora senza dati
Fra i cardini della riforma vi era la creazione di una piattaforma nazionale trasparente che permettesse ai cittadini e agli operatori di monitorare in tempo reale i tempi di attesa. Tuttavia, nonostante l’annuncio del ministro della Salute Orazio Schillaci a novembre 2024, che prometteva la piena operatività del sistema entro febbraio 2025, la realtà è ben diversa. Il decreto sulla piattaforma è arrivato in Conferenza Stato-Regioni solo il 18 dicembre, con l’intesa firmata il 13 febbraio 2025 e la pubblicazione ufficiale avvenuta l’11 aprile. Da quella data, le Regioni avevano 60 giorni per adeguarsi, ma al termine di questo periodo – l’11 giugno 2025 – la piattaforma non è ancora accessibile al pubblico né completa dei dati di tutte le Regioni. "Ad oggi – afferma Cartabellotta – non esiste alcun dataset pubblico che documenti una riduzione dei tempi di attesa. Qualsiasi valutazione sull'efficacia del Decreto potrà essere condotta solo quando i dati saranno resi accessibili in modo trasparente".
Scontro tra Governo e Regioni: ma c’è uno spiraglio
Particolarmente controverso si è rivelato il decreto sui poteri sostitutivi, che dovrebbe consentire allo Stato di intervenire direttamente in caso di inadempienze da parte delle Regioni. Il provvedimento ha scatenato uno scontro istituzionale durato mesi, fatto di lettere, accuse e rivendicazioni. Solo a fine maggio, dopo un confronto tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, il presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, e il ministro Schillaci, sembra essersi aperto uno spiraglio per sbloccare il testo. Ma, al 10 giugno 2025, non esiste ancora alcuna intesa formale, e l’incertezza continua. "Amareggia constatare – commenta Cartabellotta – che, su un tema che lede un diritto costituzionale, lo scontro frontale abbia preso il sopravvento sulla 'leale collaborazione' tra Stato e Regioni, rendendo evanescente il supremo principio di 'Repubblica che tutela la salute'. Nel frattempo, milioni di persone continuano ad attendere. O peggio, rinunciano alle prestazioni sanitarie".
Un fenomeno crescente: la rinuncia alle cure
E proprio la rinuncia alle prestazioni sanitarie rappresenta il dato più allarmante di tutto il quadro. Secondo le elaborazioni della Fondazione Gimbe su dati Istat, nel 2024 circa 5,8 milioni di persone, pari al 9,9% della popolazione, hanno dovuto rinunciare ad almeno una visita specialistica o a un esame diagnostico, rispetto al 7,6% del 2023 e al 7% del 2022. Le motivazioni principali sono due: tempi di attesa troppo lunghi: 6,8% e problemi economici: 5,3%.
“L'espressione 'rinuncia alle cure' – precisa Cartabellotta – è fuorviante: si parla di rinuncia a visite ed esami, non a trattamenti terapeutici. Ma resta un indicatore preoccupante, soprattutto perché riguarda l’intero Paese, senza significative differenze geografiche. Anzi, oggi coinvolge anche chi, prima della pandemia, si trovava in una posizione di 'vantaggio relativo', come i residenti al Nord e le persone con un più alto livello di istruzione”.
SSN in crisi
La fotografia scattata dalla Fondazione Gimbe evidenzia una realtà dura da accettare: le liste d’attesa non sono il problema, ma il sintomo di un Servizio Sanitario Nazionale indebolito, con carenze strutturali e organizzative. "A un anno dalla pubblicazione – conclude Cartabellotta – il Dl Liste di attesa si è impantanato tra le complessità tecnologiche che frenano il decollo della piattaforma nazionale e la prolungata tensione istituzionale tra Governo e Regioni sui poteri sostitutivi. Le liste d’attesa non sono una criticità da risolvere a colpi di decreti: sono il sintomo del grave indebolimento del SSN, che richiede investimenti consistenti sul personale sanitario, coraggiose riforme organizzative, una completa trasformazione digitale e misure concrete per arginare la domanda inappropriata di prestazioni sanitarie". Altrimenti, come sottolinea amaramente, "dedicarsi ad alleviare il sintomo equivale a somministrare cure palliative a un paziente oncologico, invece che affrontare la malattia con una terapia radicale".