Calo glicemico e chetoacidosi, gli alti e bassi del diabete
Emergenze in pronto soccorso, occhio alle riacutizzazioni
Calo glicemico, chetoacidosi, sbalzi ormonali e piede diabetico: sono tanti gli inconvenienti che le persone con diabete scompensato sperimentano più volte nella vita, e che portano dritti in ospedale, anche quando si potrebbero prevenire, essendo per l’appunto prevedibili. Un percorso virtuoso per il follow up dei pazienti che diventano, loro malgrado, abituali frequentatori del pronto soccorso, è stato discusso in Senato da illustri medici, rappresentanti delle istituzioni e del volontariato (associazioni pazienti). L’obiettivo è arrivare quanto prima a scongiurare le riacutizzazioni, riducendo i costi per accessi impropri. Migliaia di casi clinici possono essere gestiti a livello domiciliare, presi in tempo prima di un ineluttabile aggravamento, questo è quanto emerge da uno studio realizzato su oltre cento strutture ospedaliere in Italia, e su circa 300mila accessi in emergenza.
Francesco Pugliese, direttore del Dipartimento Emergenza presso l’Ospedale Pertini di Roma, ha presentato i principali dati dello studio, evidenziando il fatto che il pronto soccorso spesso deve occuparsi di complicanze relative a patologie croniche che si potrebbero gestire altrettanto bene affidandosi alla competente medicina territoriale. Ha sottolineato l’importanza di istituire un percorso diagnostico terapeutico assistenziale specifico, che preveda un’adeguata formazione del personale sanitario, e una presa in carico globale della persona con diabete.
In Italia, il 4,7% della popolazione adulta riferisce una diagnosi di diabete. Si stima che almeno un caso su sei venga ricoverato in ospedale almeno una volta all’anno, con un evidente aggravio di costi per il Servizio Sanitario Nazionale. La spesa attribuibile al diabete nel nostro sistema si aggira intorno ai 10 miliardi di euro, la quota più importante è legata alle complicanze che conducono ai ricoveri ospedalieri, compresi quelli impropri.
Identikit
Lo studio condotto da Bhave ha chiarito che le principali motivazioni di accesso in pronto soccorso per diabete sono l’ipoglicemia, l’iperglicemia, la chetoacidosi e il piede diabetico. È emerso che i pazienti utilizzano principalmente insulina e farmaci tradizionali, con un utilizzo relativamente modesto dei nuovi ipoglicemizzanti orali, dei GLP-1 e degli SGLT-2. È stato anche rilevato che solo il 50% dei pazienti utilizza un dispositivo di monitoraggio continuo della glicemia. Questi dati indicano la necessità di riformare la medicina del territorio incoraggiando, tra le altre cose, l’adozione di dispositivi di controllo più evoluti.
Lina Delle Monache di Federdiabete ha ribadito l’opportunità, da parte sua, di stabilire un collegamento più strutturato tra pronto soccorso e territorio, al fine di garantire una autentica continuità assistenziale. La medicina di emergenza-urgenza, ha concluso Federico Serra, capo della segreteria tecnica dell’Intergruppo Parlamentare Obesità Diabete e Cronicità non trasmissibili, svolge un ruolo fondamentale, manca tuttavia un modello di gestione condivisa. Questo porta a complicanze guastafeste, riacutizzazioni che finiscono per scaricarsi in ospedale, anziché trovare risposte nel territorio, come verrebbe logico pensare.
Dispersione delle competenze
L’integrazione delle cure e la presa in carico multidisciplinare sono essenziali per garantire un’assistenza continuativa e coordinata per i pazienti diabetici. La frammentazione delle competenze comporta costi aggiuntivi per il sistema e rende difficile la gestione delle patologie croniche. È necessario monitorare regolarmente i risultati del percorso di cura, secondo gli esperti interpellati, e apportare miglioramenti per garantire un’efficace funzionalità dei percorsi.
Nel suo intervento Graziano Di Cianni, presidente dell’Associazione medici diabetologi (AMD) ha messo a fuoco in particolare la questione degli accessi al pronto soccorso per il piede diabetico. “La presa in carico per questi pazienti – precisa il numero uno dei medici specialisti – deve avvenire in tempi rapidi, e contemplare tutte le opzioni terapeutiche oggi disponibili, in modo da scongiurare il più possibile il ricorso alle amputazioni”.
“La terapia del diabete – avverte Andrea Lenzi, ordinario di endocrinologia alla Sapienza, Università di Roma – si avvale di farmaci potenti, soluzioni multifunzionali, cioè che curano la malattia e al tempo stesso aiutano a prevenire le complicanze, dal cuore al rene. Purtroppo ancora oggi, anche a ragion veduta ovviamente, vediamo che il diabetico corre al pronto soccorso alle prime avvisaglie, e io penso a quante volte si potrebbero prevenire certe complicanze con un monitoraggio attento della glicemia, e con una scelta oculata della terapia. In questo senso sarebbe auscpicabile, io credo, un salto culturale da parte dei medici prescrittori, e una maggiore consapevolezza da parte dei pazienti”.
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