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Monoclonali, terapia del futuro attiva già oggi

È stato da poco approvato anche in Italia il primo farmaco di questo tipo a lunga azione contro l’Hiv

28/11/2021

Se per il Covid i vaccini hanno permesso di ridurre i contagi e i casi gravi di malattia, l’HIV già da qualche anno si può considerare un’infezione cronica grazie all’avvento della terapia antiretrovirale a elevata efficacia che permette il controllo della replicazione virale e la conseguente soppressione virologica, sintetizzata nello U=U, Undetectable=Untransmittable: l’HIV non viene trasmesso se la viremia del partner HIV positivo non è più determinabile nel sangue, grazie alla corretta assunzione di una efficace terapia antiretrovirale.

 

I nuovi orizzonti terapeutici offrono ulteriori spunti: sia per l’HIV che per il Covid, infatti, ulteriori soluzioni potrebbero essere negli anticorpi monoclonali, che sono diventati uno dei prodotti farmaceutici più importanti anche in ambito infettivologico. Il primo monoclonale in tal senso è stato impiegato per il virus respiratorio sinciziale, poi per il Clostridium difficile; recentemente sono iniziati gli studi e le prime applicazioni per l’HIV e per il Covid. Nella recente pandemia, questo approccio terapeutico si è rivelato fondamentale per evitare che la patologia innescata dal Covid degenerasse nelle sue forme più gravi.

 

In particolare, un anticorpo monoclonale, l’ibalizumab, che ha superato la fase III di sperimentazione, è stato approvato da FDA. EMA e AIFA e a breve sarà disponibile negli ambulatori. «Questo anticorpo monoclonale si attacca le cellule CD4 impedendo l’ingresso del virus nella cellula – spiega la dottoressa Anna Maria Cattelan –. Questo approccio terapeutico è stato studiato per i pazienti con alle spalle una lunga storia di terapia antiretrovirale ed in fallimento virologico. I dati a 96 settimane di trattamento indicano che anche in soggetti pluri-falliti vi è stata una risposta virologica nel 56% dei casi; direi un risultato importante per futuri sviluppi della molecola».

 

«Questo è solo l’inizio, visto che questi anticorpi monoclonali potrebbero essere usati anche in altri contesti, come nella terapia iniziale e addirittura nella prevenzione dell’HIV. Uno studio pubblicato quest’anno sul New England Journal of Medicine nella prevenzione dell’infezione da HIV su più di 4mila soggetti ad elevato rischio di infezione, pur non dimostrando un’efficacia nel raggiungimento di questo ambizioso risultato, ha rappresentato un importante ‘proof of concept’, sia per lo sviluppo di futuri vaccini, che per la programmazione di ulteriori futuri studi che dovranno prevedere la contemporanea combinazione di più anticorpi monoclonali capaci di aggredire il virus in modo definitivo. Certamente si sta aprendo un decennio che vedrà lo sviluppo di molte strategie terapeutiche avanzate, tra cui certamente la terapia genica».

 

Tra le non poche analogie che caratterizzano Covid e HIV, si sta facendo spazio una ricerca inerente all’effetto che entrambi i virus hanno sull’invecchiamento dell’individuo, inteso come condizione di fragilità rispetto all’accumulo di deficit nel corso della nostra vita. HIV e Post Acute Covid Syndrome (PACS), spesso definito semplicemente Long Covid, sono uniti da questo meccanismo biologico di accelerazione del fenomeno dell’invecchiamento con progressione della fragilità. Proprio sul tema dell’invecchiamento si è delineata da alcuni anni una nuova scienza, la geroscience, secondo cui l’invecchiamento è una malattia su cui si dovrebbe intervenire con diagnosi precoci per favorire interventi mirati attraverso farmaci senolitici, che possono uccidere le cellule che invecchiano, e senomorfici, che possono modificare l’invecchiamento cellulare.