Basta un’iniezione ogni 2 mesi per contrastare l’Hiv: la conferma dagli Usa. “Riduce del 100% il rischio di contagio”
Stop alle pillole quotidiane, dimostrata l’efficacia della terapia ‘long acting’. I dati resi noti al Croi di San Francisco. Approvata da Ema, ma in Italia non è rimborsabile: è somministrata solo allo Spallanzani di Roma e a Milano (Sacco, San Raffaele e Niguarda)

Terapia 'long acting' contro l'Hiv
Un’iniezione ogni due mesi potrebbe essere sufficiente per contrastare e prevenire l’Hiv. È l’ultima frontiera dei farmaci ‘long acting’, sia nel trattamento che nella prevenzione del virus. Una svolta che potrebbe cambiare la vita a milioni di persone, tra positivi e i tanti contagiati che non sannop ancora di esserlo.
L’importamnte conferma è arrivata dagli Usa durante l’edizione 2025 del Croi (Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections), tenutasi a San Francisco. “La somministrazione dei farmaci long acting ogni due mesi migliora la qualità di vita dei pazienti: aumentano aderenza e persistenza, si riduce lo stigma, si raggiungono le popolazioni più complesse”, hanno spiegato gli esperti durante il convegno.
La rivoluzione nelle cure: cosa cambia ora
La possibilità di passare da una pillola al giorno a una singola iniezione ogni due mesi rivoluziona l'approccio terapeutico. Diversi studi hanno infatti confermato l'elevata persistenza dei farmaci long acting sia nel trattamento che nella Profilassi Pre-Esposizione (PrEP). Anche se rimane il problema di una diffusione limitata di questi farmaci in Italia.
I progressi della terapia antiretrovirale rendono l'HIV un'infezione cronica. I trattamenti, se eseguiti con costanza, sono efficaci, tollerati e consentono di mantenere una qualità e un'aspettativa di vita paragonabili a quelle della popolazione generale, contribuendo anche ad annullare il rischio di trasmissione del virus.
Cos’è la terapia ‘long acting’
La terapia ‘long acting’ è un'iniezione intramuscolare di Cabotegravir Rilpivirina, che puà essere effettuata ogni due mesi. “La somministrazione è definitivamente entrata nella gestione quotidiana dei centri di malattie infettive in Italia ed è destinata a diventare il nuovo standard terapeutico”, spiega la professoressa Antonella Castagna, primaria dell'Unità Operativa di Malattie Infettive dell'Irccs Ospedale San Raffaele di Milano e direttrice della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive e Tropicali all'Università Vita-Salute San Raffaele.
Oltre il 95% di successo: i dati dello studio Cares
I dati più interessanti presentati al Croi mergono nello studio 'Cares' a 96 settimane su giovani donne in Africa, dove il problema dell'aderenza alla terapia orale è molto sentito e in cui l'approccio long acting si è rilevato di grande successo, con percentuali di successo virologico superiori al 95% e solo quattro fallimenti virologici. I dati di Cares sono rassicuranti su quella che può essere la durabilità, con la somministrazione dei long acting per almeno due anni in popolazioni difficili.
I risultati presentati al Crois, sia dagli studi controllati che dalle esperienze di ‘Real World Evidence’ (come Trio e Opera), confermano efficacia e sicurezza in diversi setting e popolazioni. Oltre a migliorare l'aderenza lasciando invariata l'efficacia, la terapia long acting è molto importante nella riduzione dello stigma: "I farmaci assunti per via orale quotidiana, infatti, costituiscono ancora oggi una zavorra molto faticosa per tante persone che vivono con l'infezione da Hiv”, aggiunge la professoressa Castagna.
Importante passo avanti
"Uno degli aspetti più rilevanti che rendono la terapia e la PreP long-acting strategiche per il futuro – continua – è il potenziale insito in questi approcci nel raggiungere le popolazioni in cui l'aderenza rappresenta una sfida maggiore, come le donne, gli homeless, le persone transgender, i migranti. In questo senso, gli studi che confermano efficacia e sicurezza nel passaggio dai ‘trials clinici’ al ‘real world’ rappresentano un importante passo avanti".
La situazione in Italia: 140mila pazienti in terapia
In Italia, negli ultimi anni, abbiamo assistito a una ripresa delle infezioni, oltre duemila ogni anno (2.349 nel 2023). In terapia ci sono oltre 140mila persone, ma il tasso di penetrazione della terapia long acting è ancora molto basso: si avvicina al 10% nei centri più attrezzati, rimanendo marginale in molti altri. Quindi la popolazione in teoria eleggibile a questo approccio resta in gran parte esclusa.
Spallanzani: “Profilassi riduce al 100% il rischio di contagio”
"La Profilassi Pre-Esposizione (PrEP) orale si può assumere in modalità continuativa, con una pillola al giorno, oppure ‘on demand’, al bisogno, riducendo, con un'aderenza corretta, quasi del 100% il rischio di acquisizione di HIV per via sessuale”, spiega il professore Andrea Antinori, direttore del Dipartimento clinico Inmi Spallanzani.
"I dati degli studi randomizzati di Cabotegravir – dice Antinori – documentano un'efficacia sostanzialmente doppia rispetto alla somministrazione orale, e gli studi presentati al Croi, come Pillar e Imprep, testimoniano un alto grado di preferenza e una elevata persistenza alla strategia PrEP con Cabotegravir iniettabile. Inoltre, la PrEP iniettabile consente di raggiungere delle popolazioni più difficili e di avere in queste tassi elevati di efficacia: è il caso di ‘sex worker’ o persone transgender".
Perché le pillole sono meno efficaci
"La somministrazione per via orale però presenta grossi limiti in tema di aderenza e persistenza. Studi europei, francesi, americani, ma anche i dati della coorte italiana ITa-PrEP del periodo 2017-2023 rilevano che, dopo due anni solo il 40% circa mantiene un'aderenza adeguata. La gestione delle due diverse modalità di assunzione della PrEP orale, quotidiana e on demand, e la possibile transizione da una all'altra può rappresentare un ulteriore problema. Inoltre, vi è un elevato tasso di persone (37% a due anni) che interrompono il percorso e solo in alcuni casi ciò avviene per una reale riduzione del livello di rischio".
"L'erogazione della PrEP iniettabile per via intramuscolare con Cabotegravir colma le lacune della somministrazione orale - continua Antinori -. Anzitutto, la formula long acting consente tassi di aderenza più elevati, vista la somministrazione ogni due mesi, un intervallo di tempo che potrà presto allungarsi. In secondo luogo, la somministrazione avviene in ospedale da parte degli operatori sanitari, che possono così monitorare l'aderenza”.
Approvato dall’Ema, ma in Italia non rimborsabile (e disponibile)
“La PrEP long acting con Cabotegravir intramuscolare ha ottenuto l'approvazione da parte dell'Ema – aggiunge Antinori –: in Italia è inserita in una fascia per cui è approvato l'uso, ma non è rimborsabile e non è sostanzialmente disponibile. In questo momento in AIFA è in atto la discussione del dossier per la rimborsabilità e ci auguriamo che questo percorso vada presto in porto. Il farmaco è al momento somministrato a poco meno di 500 persone attraverso un programma pilota di quattro centri: l'INMI Spallanzani di Roma e tre ospedali milanesi, il Sacco, il San Raffaele, il Niguarda. L'impressione è sicuramente favorevole, c'è un alto tasso di gradimento da parte delle persone, sono tutti perfettamente aderenti e senza effetti collaterali di rilievo".