Prevenzione e screening, le scelte vincenti
La diagnosi precoce è fondamentale nella cura del melanoma. La personalizzazione evita inutili tossicità
È il momento di tornare a parlare di prevenzione dei tumori della pelle. Nei mesi dominati dalla pandemia l’attenzione si è concentrata sul Covid-19, e sono sensibilmente diminuite le diagnosi di melanoma, con un conseguente probabile incremento dei casi che saranno diagnosticati tardivamente. Quindi anche gli interventi chirurgici in dermatologia hanno dovuto fare i conti con melanomi più spessi, meno superficiali. Si collega a questo riscontro un aumento delle probabilità di recidiva dopo chirurgia, e il ricorso alla terapia farmacologica diventa cruciale. La raccomandazione a perseguire la diagnosi precoce in ambito cutaneo viene da illustri specialisti. Questa filosofia ruota anche attorno al progetto denominato LinkMe, per la creazione di un network d’eccellenza che garantisca un’appropriata e precoce presa in carico del paziente affetto da melanoma e che, grazie al team multidisciplinare, assicuri un percorso diagnostico e terapeutico omogeneo su tutto il territorio nazionale.
Nel melanoma, spesso alla chirurgia segue una terapia target (mirata) o una terapia immunologica che abbina i trattamenti in sequenza: aumenta così la percentuale delle guarigioni. «Vogliamo assicurare in tutti i casi, indipendentemente dal luogo di residenza, le migliori opportunità », ha precisato Ignazio Stanganelli (Istituto scientifico romagnolo per lo studio e la cura dei tumori), tra i massimi esperti di melanoma a livello nazionale. L’Intergruppo Melanoma Italiano (IMI) è impegnato da tempo nel promuovere l’integrazione tra discipline, nonché il percorso appropriato per i pazienti, anche allo stadio precoce. Proprio con tali finalità è stato avviato un iter di certificazione di livello europeo della qualità dell’analisi mutazionale all’interno dei laboratori italiani di diagnostica molecolare.
Il melanoma è un tumore della pelle che può essere molto aggressivo, che deriva dalla trasformazione maligna dei melanociti, ovvero delle cellule che determinano il colore della pelle. È una patologia in forte crescita: negli ultimi 20 anni, in Italia, si è passati da 6-7mila a più di 14mila nuovi casi l’anno, con una prevalenza per il sesso femminile e tra i giovani. Gli studi indicano anche che l’età maggiormente colpita da questo tipo di neoplasia è quella compresa tra i 25 e 50 anni.
Nel moderno modello di lotta al melanoma le campagne di sensibilizzazione promuovono l’autoesame della superficie corporea (porre attenzione “al neo che cambia”) e raccomandano la corretta protezione dai raggi del Sole (utilizzo di creme protettive, limitare l’esposizione incongrua, evitare arrossamenti e scottature). I soggetti, donne e uomini, che vedono il “neo che cambia” si rivolgono al proprio medico, primo filtro del sistema sanitario, che qualora identifichi una lesione sospetta invia a visita specialistica dermatologica. La diagnosi di melanoma viene discussa in team, identificando il trattamento ottimale per ogni singolo caso: si va da interventi limitati per le forme iniziali fino alla chirurgia radio-guidata per ricerca del linfonodo sentinella, eventuali linfoadenectomie radicali regionali, terapie adiuvanti, elettrochemioterapia, radioterapia, rimozione di metastasi, terapie a bersaglio molecolare, trial clinici, immunoterapia.
Con la pandemia, affermano illustri specialisti, gli ospedali si ritrovano a gestire una mole enorme di pazienti Covid positivi, a scapito delle attività ordinarie, oncologia compresa. Uno studio dell’Intergruppo Melanoma Italiano mette in evidenza come, tra febbraio e aprile 2020, in confronto allo stesso periodo del 2019, il numero di prime visite e biopsie effettuate sia diminuito del 30% ed è stata registrata una diminuzione del 20% delle diagnosi di melanoma. Adesso è ancora presto per stabilire le conseguenze di quanto accaduto, ma indubbiamente sappiamo che il melanoma, prima viene diagnosticato e trattato, più sottile è lo spessore istologico, migliore è la prognosi.