Svolta nella cura del melanoma: la scienza italiana traccia l’era dell’immunoterapia su misura

Ecco cosa succede quando le cellule tumorali interagiscono con il microambiente e il sistema immunitario: lo rivela la biologia spaziale. I due studi sono stati presentati in anteprima a Chicago

di VALERIA PANZERI
16 giugno 2025
Due nuovi studi italiani sul melanoma

Due nuovi studi italiani sul melanoma

Potrebbe essere arrivata una svolta nella cura del melanoma, il cancro della pelle nemico della tintarella. "Siamo entrati nell'era dell’immunoncologia di precisione. I risultati degli studi confermano che si possono selezionare i trattamenti in base alle caratteristiche non solo del tumore, ma del microambiente e del sistema immunitario".

A segnare la strada sono due studi italiani, condotti dall’oncologo Paolo Ascierto – presidente della Fondazione Melanoma e direttore dell'Unità di Oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell'Istituto Pascale di Napoli – presentati in occasione del congresso annuale dell'American Society of Clinical Oncology (Asco) di Chicago.  

I due studi: perché sono innovativi 

La grande innovazione sarà fornire ai pazienti con melanoma la terapia più efficace, evitando loro trattamenti inutili e con pesanti effetti collaterali, attraverso l'immunoncologia di precisione. I due lavori così innovativi, sono stati condotti nell'ambito dello studio clinico Secombit, progettato per valutare l'efficacia di diverse sequenze terapeutiche nei pazienti con melanoma metastatico Braf mutato, un tipo di melanoma caratterizzato da una mutazione genetica che spinge le cellule tumorali a crescere. Nel primo studio i ricercatori si sono concentrati sulla cosiddetta biologia spaziale, una metodica che punta a esaminare la localizzazione e le interazioni di diversi tipi di cellule nel microambiente tumorale. "Attraverso analisi avanzate condotte su 42 biopsie pretrattamento, abbiamo identificato 15 tipi di cellule, tra cui 10 diverse popolazioni di cellule immunitarie, oltre a 10 marcatori di stato cellulare – afferma l'oncologo –. Abbiamo così studiato ben 1.941 caratteristiche spaziali, da cui abbiamo selezionatele principali associate a una migliore risposta ai trattamenti, quindi a una maggiore sopravvivenza e a un maggiore beneficio clinico prolungato".

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Cosa succede quando le cellule interagiscono 

In particolare, da questa complessa mappa i ricercatori hanno dimostrato che quando le cellule tumorali interagiscono con il microambiente, seguendo specifiche coordinate spaziali, si registrano tassi di risposta al trattamento combinato peggiori. Mentre quando si presenta una maggiore interazione tra cellule tumorali e specifiche cellule del sistema immunitario, anche in questo caso entro coordinate precise, la risposta ai trattamenti è migliore.

"Il nostro lavoro sottolinea l'importanza della biologia spaziale nella personalizzazione dei trattamenti - commenta Ascierto -. Questo approccio offre una strada promettente per il progresso della medicina personalizzata, in particolare nel melanoma, e per il miglioramento degli esiti clinici sia nell'immunoterapia che nel trattamento mirato".  

Il biomarcatore che ripara il Dna

Nel secondo studio, l'attenzione dei ricercatori si è concentrata su un noto biomarcatore dei tumori ematologici: la timidina chinasi 1 (Tk1). Si tratta di un enzima che svolge un ruolo fondamentale nella sintesi e nella riparazione del Dna, il cui aumento della concentrazione nel sangue può indicare un'attività di proliferazione cellulare più elevata, come avviene nei tumori.

"In questo nuovo studio, il primo condotto su Tk1 nel melanoma metastatico, abbiamo analizzato 81 pazienti: 40 con livelli elevati di Tk e 41 con livelli bassi dello stesso enzima - sottolinea l'esperto -. I risultati hanno mostrato una marcata differenza nella prognosi tra i due gruppi". Nel dettaglio: la mediana di sopravvivenza a 5 anni è risultata più bassa nei pazienti che presentavano livelli elevati di Tk: 19 mesi mentre nei pazienti con livelli bassi di Tk non è stata ancora raggiunta.

"Sorprendentemente, la differenza di sopravvivenza tra i gruppi Tk-alto e Tk-basso non è stata statisticamente significativa (47% vs 44) tra i pazienti a cui è stato applicato un 'approccio sandwich', cioè trattati prima con gli inibitori Braf, poi con l'immunoterapia e subito dopo ancora con gli inibitori di Braf - spiega Ascierto -. È evidente che questa strategia terapeutica funzioni indipendentemente dai livelli di Tk". Per quanto riguarda la sopravvivenza globale a 5 anni i ricercatori hanno rilevato una differenza marcata tra i pazienti con Tk alto e Tk basso: 20% contro il 60% nel gruppo di pazienti che hanno iniziato prima la terapia target.

Melanoma: 9 su 10 sono prevenibili

E se i progressi scientifici nella lotta al melanoma rappresentano il futuro delle cure, gli esperti sono concordi nel porre l'accento sulla prevenzione. A riportare in primo piano i rischi correlati alle cattive abitudini, nelle scorse settimane, uno studio dell'American Academy of Dermatology: secondo quanto emerso, è sufficiente un numero spaventosamente basso di scottature solari nell'arco della vita di una persona per renderla vulnerabile al melanoma. Si stima, infine, che quasi 9 melanomi su 10 siano prevenibili. Nell'ambito di questa tipologia di patologie è possibile esercitare una prevenzione efficace: si rende quindi necessaria una corretta informazione, anche per ciò che concerne l'esposizione solare. Con particolare attenzione ai bambini – tema al quale Salus ha dedicato un focus in previsione dell’arrivo dell’estate.

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