L’umanizzazione delle cure aiuta gli oncologi ad evitare il burnout
Un corso di formazione specifico per gli specialisti, per migliorare la comunicazione con pazienti e colleghi

Un corso di formazione specifico per gli specialisti, per migliorare la comunicazione con pazienti e colleghi
L’umanizzazione delle cure fa tanto bene ai pazienti quanto ai medici. Seda un lato può migliorare l’aderenza ai trattamenti, nonché alleviare il dolore fisico e psichico di chi è in cura, dall’altro lato aiuta i medici a proteggersi dal burnout, contrastando lo stress e la frustrazione. Senza contare i benefici per una relazione medico-paziente e per un più generale rapporto tra operatori sanitari e utenti che, negli ultimi anni, è diventato sempre più difficile e complesso, fino a generare in alcuni casi episodi di aggressione, balzati agli onori della cronaca.
Il Collegio dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri (CIPOMO) torna a puntare i riflettori sull’umanizzazione delle cure, con la seconda edizione della scuola “Humanities in Oncology”, prima in Italia e una delle prime in Europa rivolta ai medici oncologi, tesa a creare una connessione tra l’oncologia, le scienze umane applicate in medicina e l’addestramento alla comunicazione. La seconda edizione di questa scuola di formazione specifica è iniziata a fine marzo a Piacenza, grazie anche al sostegno della Fondazione di Piacenza e Vigevano. Il primo corso è composto da 3 moduli, per un totale di 37 ore di formazione per le quali verranno riconosciuti 50 crediti ECM. L’obiettivo formativo è favorire la consapevolezza e l’elaborazione dei vissuti personali nella professione di medico oncologo; lo sviluppo di competenze comunicative e relazionali nella gestione di pazienti e familiari e nel rapporto con i colleghi.
"Alla luce del gradimento della prima edizione pilota 2024 – afferma Luisa Fioretto, presidente CIPOMO, socio fondatore della scuola, direttore del Dipartimento Oncologico dell’Azienda Sanitaria Toscana Centro –. siamo ancora più convinti di proseguire lungo la strada intrapresa. La nostra scuola intende fornire un concreto contributo al passaggio da una concezione del malato come portatore di una patologia ad una concezione del malato come persona, con i suoi sentimenti, le sue conoscenze, le sue convinzioni rispetto al proprio stato di salute".
In questo contesto, imparare a umanizzare le cure è fondamentale non solo per il paziente, ma anche per il medico, che può così ridurre lo stress e il rischio di burnout. "Si tratta di un approccio all’oncologia, e alla medicina in generale, che può avere grandi vantaggi anche per il medico che impara ad adottarlo e a farlo proprio – racconta Luigi Cavanna, past president CIPOMO e socio fondatore della scuola –. Umanizzare le cure, infatti, non è una dote innata ma è frutto di specifici percorsi formativi, tuttavia, in Italia, la formazione in questo ambito è ancora carente".
"Una lacuna a cui la nostra scuola vuole porre rimedio – prosegue Alberto Scanni, presidente emerito CIPOMO e socio fondatore della scuola –. Il suo obiettivo è favorire l’apprendimento degli oncologi di quell’insieme di competenze comunicative, relazionali e umane necessarie nella professione. Sono competenze che restano spesso al di fuori dei normali percorsi formativi universitari e post-universitari". La Scuola di CIPOMO integra due ambiti solitamente distinti nella formazione sanitaria: le Medical Humanities e la Comunicazione in Oncologia. Inoltre, presenta una formazione esperienziale con cui si vuole allenare la capacità degli oncologi a monitorare e gestire la relazione con pazienti, familiari e colleghi.
"La comprensione dell’assetto motivazionale con cui oncologo e paziente affrontano le loro interazioni plasma la loro possibilità di collaborare e perseguire obiettivi comuni – dichiara nella sua introduzione alle lezioni Fabio Monticelli, psichiatra e psicoterapeuta, presidente della Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva (SITCC) –. Se il medico riesce a cogliere la motivazione di bisogno di protezione del paziente in tempo reale (tralasciando modalità a volte difensive) sarà in grado di rispondere in prima battuta alla ricerca di cura".
Con benefici anche per l’oncologo, una professione a elevato rischio burnout. "Burnout che spesso viene definito come una sorta di ‘compassion fatigue’, ovvero di affaticamento cronico da troppa compassione. In questo corso – precisa Simone Cheli, psicologo psicoterapeuta, professore della St. John’s University e responsabile della progettazione didattica della scuola CIPOMO – proponiamo una lettura alternativa: la compassione è per gli oncologi un antidoto al burnout nella misura in cui bilancia la presa di cura del paziente, con la presa di cura di se stessi e con un team in grado di supportarli".