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La terapia genica nelle malattie rare: Luigi Naldini si racconta

Intervista al direttore dell'Istituto Telethon San Raffaele: intervento pubblico cruciale per sviluppare soluzioni già avviate nelle patologie orfane di trattamento

20/02/2022 - di Alessandro Malpelo

Malattie rare, che fare? Ognuna di queste affligge un numero limitato di individui, tutte insieme costituiscono l’elenco più numeroso che si conosca, migliaia e migliaia di esseri umani alle prese con mutazioni, difetti del metabolismo, sindromi ereditarie, deficit di enzimi, spesso sofferenti a partire dai primi giorni di vita. Quest’anno nella ricorrenza del Rare Disease Day che si celebra l’ultimo giorno di febbraio, abbiamo avvicinato Luigi Naldini, genetista di fama internazionale, cattedratico a Milano.

 

Professore, quali energie sono mobilitate in questo campo?

«Nell’istituto San Raffaele Telethon di terapia genica che dirigo, per dare un’idea, lavorano più di 200 tra ricercatori, assistenti e clinici».

 

Quale il segreto per ottenere risultati?

«Fare ricerca significa mettersi insieme a indagare le cause, ideare e sviluppare nuove strategie per intervenire sulle cellule malate dell’individuo. Occorre poi che il laboratorio si raccordi molto presto con chi lavora al letto del malato, e conosce le esigenze. Lavorando di concerto si potranno mandare avanti progetti ambiziosi. Se si è capaci (e fortunati) arriveranno nuovi farmaci da rendere disponibili al bisogno».

 

Nel nucleo di ogni cellula del corpo umano c’è una sequenza che ci rende unici, un codice che riporta tutte le nostre caratteristiche. Voi andate a scoprire e riparare il puntino sbagliato?

«Esattamente, l’istituto ha come missione quella di lavorare sulle malattie rare che colpiscono, purtroppo, un grande numero di individui. Ogni malattia considerata singolarmente è molto rara, ma se le guardiamo tutte insieme ci rendiamo conto delle dimensioni del problema».

 

Queste malattie hanno nomi difficili da pronunciare. Possono attaccare sia la sfera cognitiva, sia gli organi interni, compromettere la crescita o rendere complicata la vita da adulti. Perché c’è ancora tanto da scoprire?

«Vede, sono oltre 6 mila le malattie genetiche definite rare, ne esistono molte altre che ancora aspettano di avere un nome. Eppure i malati sono relativamente trascurati dalla medicina tradizionale. Tre bambini su dieci muoiono prima di compiere i 5 anni, e noi a questo ci dedichiamo: indagare le basi genetiche e trovare il modo di salvare vite umane. La malattia genetica rara ha alla base spesso un difetto in un singolo gene, una pagina tra le migliaia che compongono questo libro della vita. Tra le informazioni che ci portiamo dietro dalla nascita si può celare un piccolo errore in una singola pagina, spesso sufficiente a creare devastanti problemi in un individuo».

 

Le soluzioni che avete trovato, e altre che state perfezionando, sono risolutive?

«Le tecnologie che abbiamo sviluppato in questi anni ci permettono di contrastare, e in certi casi di correggere gli errori in quelle pagine cui accennavo prima. I benefici sono duraturi, a volte è possibile prevenire lo sviluppo della malattia, fermarla prima ancora dell’insorgenza dei sintomi, evitare che produca danni, ma dobbiamo essere cauti».

 

Perché ci vuole prudenza?

«Perché le innovazioni di cui parliamo (ad esempio editing del genoma, taglia e cuci del Dna, ndr) rendono disponibili oggi soluzioni per un numero limitato di malattie genetiche rare. Abbiamo ottenuto successi importanti, ma per molte altre situazioni non abbiamo ancora strumenti o strategie adeguate per intervenire. Ritengo doveroso auspicare che i risultati non rimangano confinati alle poche malattie che abbiamo iniziato a trattare. Partendo dai successi, proseguendo sulla stessa strada, intendiamo replicare quegli approcci che hanno funzionato sulle altre malattie simili, sviluppando in modo affidabile e sicuro terapie che richiedono investimenti importanti».

 

Le risorse insufficienti sono un limite oggettivo?

«La ricerca di base, o quella che per esempio Telethon ci finanzia, non può coprire tutto. Serve un intervento pubblico che sostenga gli sforzi, e che aiuti a tradurre in terapie concrete le soluzioni per malattie orfane di trattamento che abbiamo messo a punto. Talvolta l’interesse dell’industria farmaceutica viene a mancare perché i pazienti che ne andranno a beneficiare sono pochi, eppure questa minoranza di persone ha la stessa dignità e lo stesso diritto a ricevere attenzione, come tutti gli altri».

 

Grazie alla comprensione dei meccanismi genetici, la ricerca ha fatto compiere passi avanti nel trattamento di tumori, diabete, infezioni, cardiopatie.

«I progressi della terapia genica si riflettono anche in malattie più comuni, e in quelle per le quali le cure attuali falliscono. Si sono visti per esempio nel cancro, in ematologia, con le Car-T, i prodigi della medicina personalizzata che esalta le difese immunitarie. Le tecnologie mRna, farmaci che codificano proteine, hanno permesso di fabbricare vaccini contro il Covid. Impieghiamo virus modificati per trasportare nuove informazioni genetiche nelle cellule. Più recentemente abbiamo imparato a correggere le proprietà delle cellule malate riscrivendone il Dna dove ci sono degli errori. Gli interventi per trattare tutte queste malattie si fanno sempre più precisi e raffinati, dobbiamo però muoverci con cautela e senso di responsabilità, intervenendo laddove c’è un rapporto rischio beneficio adeguato, condiviso con il resto della società».

 

Note biografiche

Luigi Naldini, professore ordinario presso l’Università Vita-Salute, dirige dal 2008 l’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) di Milano. A lui si deve, tra l’altro, lo sviluppo dei primi vettori lentivirali impiegati con successo nella leucodistrofia metacromatica (malattia neurodegenerativa), e per correggere la sintomatologia nella sindrome di Wiskott Aldrich, grave immunodeficienza.