Uno studio ha utilizzato un modello matematico per calcolare quant'è il tempo necessario per rimuovere tutti i patogeni dalle mani
Lavarsi le mani per 20 secondi con il sapone è una pratica collaudata per ridurre il rischio di contrarre e diffondere svariate malattie. L’adagio non suona certo nuovo, soprattutto da quando abbiamo imparato a fare i conti con la pandemia da Covid-19. A ribadirlo è però ora uno studio pubblicato sulla rivista Physics of Fluids, che dimostra come i rinomati “20 secondi” non siano un numero arbitrario, ma un lasso di tempo avvalorato da solidi principi fisico-matematici.
Per analizzare la dinamica del lavaggio delle mani, i ricercatori hanno utilizzato un modello matematico che sfrutta le linee di una curva per riprodurre in modo semplificato le imperfezioni della pelle, tra le cui pieghe si accumulano virus e batteri di vario genere. Al fine di capire come si muovono le particelle di sporcizia, la simulazione ha preso in esami alcune variabili fisiche, tra cui l’energia del flusso d’acqua, scegliendo invece di trascurare i fattori chimici e biologici (come la presenza di sostanze antibatteriche nel sapone).
Senza entrare in dettagli troppo tecnici e semplificando al massimo il concetto, la simulazione ha dimostrato che la probabilità di rimuovere con successo la sporcizia dagli “avvallamenti” della curva (e dunque dalla pelle) è legata inevitabilmente alla forza con cui scorre il fluido. Tale spinta dipende a sua volta dalla velocità con cui vengono strofinate le mani: “Se muovi le mani troppo delicatamente o troppo lentamente, l’una rispetto all’altra, le forze generate dal flusso liquido non sono abbastanza grandi da superare la forza che tiene ferma la particella”, ha spiegato il primo autore Paul Hammond. Tirando le somme, il modello suggerisce che 20 secondi di azione meccanica vigorosa sono sufficienti per una pulizia completa, che elimini ogni traccia di patogeno. In questo modo si scongiurerà il rischio di infettarsi (toccandosi ad esempio naso e bocca) o di contaminare altre superfici.
Secondo i ricercatori il loro modello getta le basi per ulteriori approfondimenti, che analizzino anche quanto il sapone sia di per sé capace di distruggere un biofilm batterico o di ridurre l’adesione dei patogeni alla pelle. Questo, concludono Hammond e colleghi, non cambierà necessariamente il modo in cui ci laviamo le mani, ma potrebbe, tra le altre cose, aiutare l’industria dei saponi a formulare prodotti più efficaci e al tempo stesso più rispettosi dell’ambiente.