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I valori minimi di riferimento e le categorie definite ’a rischio’

Il recente aggiornamento AIFA ha sostituito le precedenti linee guida sulla rimborsabilità della supplementazione

16/04/2023

La vitamina D in quanto farmaco viene prescritta dal medico e il suo costo può essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Lo scorso febbraio, l’Agenzia Italiana del Farmaco ha aggiornato la Nota 96 sui criteri di appropriatezza prescrittiva della supplementazione con vitamina D e suoi analoghi (colecalciferolo, calcifediolo) per la prevenzione e il trattamento degli stati di carenza nell’adulto.

 

L’aggiornamento 2023, che sostituisce le precedenti linee guida sulla rimborsabilità della vitamina D da parte del SSN, prevede: l’introduzione della categoria di rischio «persone con gravi deficit motori o allettate che vivono al proprio domicilio«; la calibrazione da 20 a 12 ng/mL (o da 50 a 30 nmol/L) del livello massimo di vitamina 25(OH)D sierica, in presenza o meno di sintomatologia specifica e in assenza di altre condizioni di rischio associate, necessario ai fini della rimborsabilità; la specificazione di livelli differenziati di vitamina 25(OH)D sierica in presenza di determinate condizioni di rischio. Il valore della vitamina D nel sangue deve quindi essere inferiore a 12 nanogrammi per millilitro per ottenere il medicinale gratuitamente (questo vale per chi non si trova in condizioni o categorie a rischio di carenza, altrimenti i livelli per la rimborsabilità si alzano o non sono previsti affatto).

 

L’AIFA motiva la sua decisione citando i risultati di alcuni studi secondo cui la supplementazione di vitamina D «non è in grado di modificare il rischio di frattura nella popolazione sana, senza fattori di rischio per osteoporosi». In seno alla comunità scientifica, in molti fanno però notare come questa vitamina non impatti solo sulla salute delle ossa ma anche sul benessere dell’organismo in generale. «È certamente apprezzabile lo sforzo di categorizzare i pazienti introducendo soglie differenziate che riprendono i nostri documenti di Consenso. Tuttavia, i dosaggi ormonali (come quello della vitamina D) hanno un’elevata variabilità intrinseca che aumenta con l’utilizzo di metodi diversi in diversi laboratori.

 

Pertanto, introducendo più parametri si rischia di moltiplicare tale variabilità (e il numero di dosaggi per paziente con aumento esponenziale dei costi) complicando la gestione clinica. Infatti, i valori di uno stesso soggetto possono cambiare molto da laboratorio a laboratorio», osserva il professor Giustina. E aggiunge: «Se la scelta è quella atipica di non basarsi sul giudizio clinico dello specialista, allora le Autorità dovrebbero considerare di agire come negli Stati Uniti, dove esiste un costoso programma nazionale per la standardizzazione dei dosaggi di vitamina D». Oppure, occorrerebbe che tutti i laboratori del Paese utilizzassero gli stessi metodi di dosaggio, cose non semplici. «Eppure – conclude Giustina – sarebbero questi i modi, se si vuole seguire questa strada “biochimica“, per contare su valori uniformi e, di conseguenza, diritto al rimborso o meno uguale per tutti».