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Fertilità maschile, parlarne non è un tabù

La società Italiana di Urologia: bisogna sostenere una cultura che promuova un momento riproduttivo consapevole e sereno

16/06/2024 - di Giada Sancini

Sono appena 379mila i bambini nati in Italia nel 2023. La Società italiana di urologia (Siu), analizzando i dati Istat sulla denatalità, pone l’accento sulla fertilità maschile in relazione alla riduzione delle nascite in Italia ed evidenzia la sempre maggiore posticipazione nella procreazione, fenomeno che preoccupa anche sul piano sociosanitario. E propone un decalogo per la fertilità maschile. Secondo gli urologi italiani, infatti, nel nostro Paese manca «una vera cultura della fertilità sia nell’opinione pubblica che in una certa quota di sanitari, nonché nei processi comunicativi di massa».

 

Per questo la Siu si pone come interlocutore privilegiato, per sostenere una cultura che promuova un momento riproduttivo consapevole e nelle migliori condizioni biologiche possibili. Inoltre, per quanto riguarda l’infertilità, il momento della diagnosi – evidenziano gli specialisti – spesso vissuto è come una sconfitta soprattutto da parte dell’uomo. È perciò importante far prevalere la consapevolezza del «non è colpa tua o colpa mia», affrontare il problema con serenità, magari già da età più precoci. Necessario, inoltre, da parte del medico, rendere consapevoli i pazienti che stili di vita sani sono in grado di migliorare anche questo aspetto e che il rivolgersi a professionisti è sicuramente la scelta più opportuna. Da qui il decalogo che contiene tutte le indicazioni utili a tutela della fertilità maschile:

 

1) Prevenzione fin dalla giovane età: eseguire almeno uno spermiogramma nella propria vita nell’età compresa tra i 18 e i 20 anni è utile per avere una valutazione di base. Sulla base di questa prima analisi del liquido seminale e di eventuali alterazioni, sarà poi lo specialista interpellato che valuterà la possibilità di effettuare ulteriori accertamenti più specifici, come ad esempio l’ecografia scrotale per escludere la presenza di varicocele, causa spesso di ipo-infertilità o di indagini genetiche più approfondite.

 

2) Seguire uno stile di vita sano sia sul piano alimentare (uno studio pubblicato sulla rivista ‘Nutrients’ dimostra che la dieta mediterranea sarebbe un’alleata – non intrusiva e conveniente – della fertilità della coppia e del concepimento) sia sul piano dell’esercizio fisico, che deve essere costante;

 

3) Evitare tutti i fattori di rischio modificabili di ipo-infertilità (fumo di sigaretta, utilizzo di droghe ricreative o condizioni di vita particolarmente stressanti);

 

4) Adeguato trattamento di tutte quelle condizioni sistemiche in grado di alterare i parametri seminali, in particolare, per i pazienti più giovani, in presenza di fattori di rischio di familiarità (ipertensione, diabete mellito, obesità, sindrome metabolica, cancro ai testicoli).

 

5) Campagne di sensibilizzazione per la prevenzione di malattie sessualmente trasmissibili, altra frequente causa di infertilità;

 

6) Evitare farmaci gonadotossici, in particolare sostanze anabolizzanti ad oggi sempre più utilizzate da giovani ragazzi alla ricerca di falsi miti fisici sponsorizzati dai media, in grado di esercitare meccanismi inibitori sulla produzione di testosterone endogeno e conseguentemente sulla produzione di spermatozoi;

 

7) Evitare o quantomeno ridurre al minimo, utilizzando tutti i presidi possibili, l’esposizione a radiazioni, ad oggi sempre maggiore a causa delle richieste professionali, così come di tossine ambientali tipicamente riscontrate in alcune zone a rischio, soprattutto dove l’agricoltura, e di conseguenza i prodotti utilizzati nel suo contesto, rappresenta la principale fonte di reddito.

 

8) Educare le coppie a ricercare un percorso condiviso in caso di mancata procreazione dopo 12 mesi di rapporti sessuali non protetti. Tale percorso deve prevedere la presenza di figure specializzate (ginecologi ed urologi) in grado di fornire spiegazioni, diagnosi e terapia adeguate al problema alla base dell’infertilità;

 

9) Rivolgersi a strutture ultra specializzate, in particolare a quelle dove ci sono Pdta (Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali) in cui si può contare su più figure specialistiche differenziate;

 

10) Aumentare il numero di queste strutture pubbliche in tutta Italia per non costringere i pazienti a ricorrere solo ed esclusivamente a centri privati, o peggio ancora cercare fortuna in altre nazioni europee e extra-europee.