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E ora le stagioni fanno impazzire le allergie

I cambiamenti climatici anticipano o posticipano il momento dell’impollinazione, e ’spostano’ gli allergeni da nord a sud e viceversa

19/03/2023 - di Maurizio Maria Fossati
Woman sneezing in the blossoming garden- Crediti ISTOCKPHOTO

La diffusione delle allergie è in crescita e i cambiamenti climatici gettano benzina sul fuoco. Secondo le più recenti stime circa il 50% della popolazione europea soffre di allergie. E gli italiani non fanno eccezione. Se poi consideriamo l’asma collegata alle allergie e non solo, è stato accertato che affligge circa il 20% degli abitanti del nostro Paese.

 

Cifre preoccupanti soprattutto perché in aumento anche nella popolazione giovane. Ma quanto e in che modo i recenti cambiamenti climatici stanno incidendo su questa folta schiera di malati? Lo abbiamo chiesto a Francesca Puggioni, specialista in malattie dell’apparato respiratorio e capo-sezione clinico organizzativo dell’Immuno Center di Humanitas, Rozzano (MI).

 

Il clima cambia davvero le allergie?

«I cambiamenti climatici stanno influendo molto sulla diffusione delle malattie allergiche in Italia. E per varie ragioni. Innanzitutto stiamo assistendo a una tropicalizzazione dell’ambiente vegetale in cui viviamo. Numerose specie di piante che un tempo erano presenti solo nel Sud Italia, adesso si sono ambientate bene anche nei territori più a Nord.

 

Per esempio la parietaria, che in alcune regioni come la Liguria e la Sicilia ha un fioritura di quasi 9 mesi (quindi, sebbene stagionale, viene quasi considerata un allergene perenne) adesso la vediamo in maniera sempre più frequente anche in regioni del Centro e del Nord Italia. E, purtroppo, la parietaria è una pianta con spiccato potere allergenico.

 

Cambia anche la tempistica?

«Sì, sta cambiando anche il periodo di pollinosi: primavere precoci, estati e autunni più lunghi hanno dilatato i periodi di impollinazione, raddoppiandoli o addirittura triplicandoli rispetto al passato. Oltretutto, prima del riscaldamento globale, la pioggia e la neve facilitavano la vita degli allergici abbattendo i pollini in circolazione e limitando la loro permanenza nell’aria».

 

E poi dobbiamo fare i conti con l’inquinamento atmosferico, vero?

«Certamente. Chi pensa che vivere in città, dove ci sono meno piante, sia un vantaggio per la minore esposizione agli allergeni, sbaglia. In realtà le polveri sottili si legano a determinate particelle chiamate apteni, proteine con minori dimensioni e potenzialmente meno allergeniche, dando origine ad azioni ancora più dannose per l’apparato respiratorio.

 

Queste microparticelle, infatti, che moltiplicano il potere infiammatorio, sono anche in grado di entrare nelle nostre vie aeree più profonde. Le polveri sottili inoltre danneggiano le nostre mucose, indebolendole e facilitando la penetrazione degli allergeni e di conseguenza la reazione allergica. Quindi anche se in città ci sono meno pollini, ci pensa lo smog a peggiorare la qualità di vita dei pazienti allergici».

 

Cosa possiamo prevedere per il futuro?

«Purtroppo erediteremo geneticamente dai nostri genitori sempre più allergie, quindi queste malattie avranno una diffusione sempre più importante. Per contro disponiamo di farmaci sempre più efficaci, dai vaccini, agli antistaminici, agli spray nasali e ai test per la diagnosi precoce basati sull’allergologia molecolare. E per le situazioni più gravi sono disponibili nuovi trattamenti biologici specifici».

 

Per finire, un consiglio ai pazienti?

«Individuate Centri di riferimento specialistici di eccellenza che permettano un contatto diretto e rapido con il medico. Il consiglio fondamentale è farsi visitare nel momento in cui c’è il bisogno della visita, in pratica quando si sta male».