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Demenze Alzheimer, monoclonale rallenta declino cognitivo

Un anticorpo monoclonale approvato dall'Agenzia del farmaco americana, si dimostra capace di rallentare il declino cognitivo nei soggetti trattati in stadio precoce

17/11/2021 - di Alessandro Malpelo

Aducanumab, l’anticorpo monoclonale anti-Alzheimer di Biogen approvato dall’Agenzia del farmaco americana, si dimostra capace di rallentare il declino cognitivo nei soggetti trattati in stadio precoce. Tradotto, significa conservare più a lungo la memoria a breve termine, preservare l’autonomia, la capacità di vestirsi, riordinare le cose, prendere iniziative, elaborare pensieri complessi, evitare di smarrirsi per strada, tutti sintomi di decadimento delle funzioni nobili del cervello che si manifestano più o meno avanti con l’età, nei soggetti colpiti.

Durante i trial con Aducanumab si sono registrati casi in cui i pazienti, a distanza di quattro anni, hanno mantenuto le loro abilità e autonomie. Probabilmente non tutti beneficeranno allo stesso modo della scoperta, gli scienziati avranno ancora tanto da scoprire, ma intanto si apre una prospettiva di cura che finora sembrava irraggiungibile.


“La ricerca – ha scritto Alessandro Padovani, socio fondatore di Airalzh, direttore della Neurologia negli Spedali Civili di Brescia – procede in due direzioni: l’individuazione di farmaci in grado di contrastare la malattia, e la diagnosi precoce”. La Fda americana ha approvato un primo trattamento che oltre a incidere sui sintomi della demenza punta anche a rallentare la progressione del declino mentale. La diagnosi precoce è fondamentale in quanto non si torna indietro: la terapia efficace per fermare la demenza su base neurologica va istituita il prima possibile. Airalzh, ha aggiunto la presidente Alessandra Mocali, auspica che i malati siano presi in carico quanto prima, anche grazie alla medicina territoriale, sin da quando cominciano a palesarsi i primi disturbi. “Siamo certi che la speranza di una terapia aiuterà anche i pazienti e le loro famiglie a superare la paura della diagnosi, con un accesso più precoce al percorso di cura“.


Dal punto di vista tecnico farmacologico, la terapia determina un calo della proteina plasmatica p-Tau181 che si associa alla riduzione delle placche beta-amiloidi nel cervello, con minore declino cognitivo e funzionale. I dati si riferiscono a oltre 1.800 soggetti studiati, 7mila campioni di plasma esaminati. Pare dunque dimostrato un effetto sulla placca beta-amiloide e i grovigli neurofibrillari. Questi risultati, frutto degli studi di fase 3 Emerge ed Engage, sono stati presentati ultimamente a Boston in occasione di un congresso di settore.