Tartara di carne, carpaccio, uova, pesce e molluschi senza cottura mantengono le proprietà nutrizionali
La Tartara è un prelibato piatto fatto con carne cruda macinata succo di limone e tanta cipolla. Le origini di questo antica pietanza non sono però molto nobili: il nome prende origine dai Tartari, popolo guerriero stanziato a nord della Mongolia e famoso per la sua micidiale cavalleria. Come gli Unni di Attila (ma secoli prima) questi soldati a cavallo vivevano praticamente in simbiosi con il loro destriero; non scendevano mai dalla sella nemmeno per dormire; la curvatura delle loro gambe molto spinta ed ottenuta con una vita in continuo cavalcare, permetteva loro di “inchiodarsi” al loro animale; per mangiare usavano mettere dei pezzi di carne cruda sotto la sella che dal movimento, durante il galoppo, veniva triturata e poi mangiata insieme a pezzi di cipolla. Questa vita “bestiale” li rese terribili guerrieri capaci di far tremare anche lo Zar Ivan il Terribile. Di tutto ciò oggi ci rimane un delizioso piatto di carne cruda condita con olio, cipolla e limone.
Il valore nutrizionale è immenso. Si sa infatti che meno l’alimento si cuoce e più alto è il valore nutrizionale. L’uovo crudo ad esempio, è una fonte immensa di salute ed energia, magari fatto come zabaione, vera colazione da re. Delle uova fresche erano grandi consumatori i marinai inglesi che sulle loro caravelle convivevano, nei lunghi viaggi, con galline ed oche. Si racconta che Horatio Nelson, eroe contro Napoleone a Trafalgar, avesse superato l’emorragia per la perdita di un braccio ed un occhio grazie all’immenso potere energizzante delle uova crude, utili per la produzione, da parte del midollo osseo, di globuli rossi.
Piatto con più nobili origini è il Carpaccio. Negli anni 50 l’Harry’s Bar di Arrigo Cipriani a Venezia era il ristorante più chic d’Italia, con tanti clienti famosi: Ernest Hemingway, Gianni Agnelli, Onassis, Maria Callas, la contessa Mocenigo. Quest’ultima in particolare soffriva di intolleranza ai grassi della carne cotta. Arrigo, chef navigato, creò delle sottilissime fettine di vitello crudo contornate da barbe rosse e fette di mele; i piatti erano così belli e colorati che Cipriani li chiamò “Carpaccio”. in onore del pittore veneziano.
E il pesce crudo? Una delizia. Una tartara di tonno condita con limone e pepe è la fine del mondo, soprattutto dal punto di vista salutistico; il tonno infatti è ricchissimo in acidi omega tre, acidi salvacuore. Ma sono i frutti di mare crudi ad essere una fonte immensa di sali minerali rari. Cozze, vongole, e arselle sono una preziosa riserva di zinco e selenio microelementi importanti per il buon funzionamento della tiroide. E con il colesterolo come la mettiamo? Tutti i frutti di mare sono ricchi in vari tipi di grassi, ma è anche vero che sono ricchi in steroli che altro non sono se non dei “competitors “nei confronti del colesterolo; questo vuol dire che quando noi mangiamo ostriche o gamberi – notoriamente ricchi in colesterolo – il nostro intestino preferirà assimilare i competitors e non il colesterolo.
Ovviamente se amiamo i crudi bisogna essere sicuri di quello che ci viene messo nel piatto: importante infatti è l’uso dell’abbattitore, strumento indispensabile nella ristorazione. Diversamente questi alimenti vanno mangiati cotti: pensiamo ad esempio alle alici. Uno stupendo piatto della nonna erano le acciughe alla povera, macerate in semplice succo di limone e cipolla. Questo accadeva anni fa: ora purtroppo alcune acciughe possono ospitare un parassita chiamato Anisakis, davvero poco simpatico. Ecco quindi l’importanza della cottura. Utile inoltre sapere che il succo di limone non disinfetta un bel nulla; quindi se le cozze contengono la salmonella, il succo di limone non avrà nessun effetto.
Chi ama cibi pesanti quali carni alla brace e fritture, dovrebbe abbondare in una erba epatoprotettiva, il tarassaco chiamato anche dente di leone o piscialletto (appellativo dovuto all’enorme potere diuretico che questa pianta ha). Il tarassaco va bollito e condito con olio e limone. Il suo potere benefico nei confronti del fegato è immenso, ma non solo: migliora e fortifica la nostra flora batterica, considerata ormai il nostro ministero della difesa. E poi visto che è solo selvatico non costa nulla.
Tenere le carni a bagnomaria in olio e rosmarino abbatte la percentuale di acroleina
Le carni grigliate sono una delizia, ma chi ama fare barbecue deve sapere che la brace non è una cottura simpatica: la carbonizzazione di alcune particole di carne può creare l’acroleina, una molecola molto fastidiosa per il nostro organismo, capace di creare lesioni al fegato. Idem per le pizze con il cornicione bruciacchiato: la sostanza sotto accusa in questo caso è l’acrilamide, stretto parente della acroleina. Anche la frittura ad alte temperature genera queste pericolose molecole. Buone notizie arrivano da uno studio dell’Università di Copenaghen: mettendo la carne destinata alla brace per venti minuti a bagnomaria in olio di oliva e rosmarino, si abbatte del 40% l’acroleina. Veri miracoli dell’olio di oliva del rosmarino, pianta medicale famosa per il suo contenuto in carnosolo, molecola dal forte potere antitumorale. Stessi poteri ha la salvia: Ippocrate diceva «come fa ad ammalarsi l’uomo che abbia la salvia nel suo giardino