Svolta nel trattamento della nefrite lupica con l’arrivo dell’anticorpo monoclonale di Gsk
Entro due anni dalla diagnosi di Lupus eritematoso sistemico (LES) in media 4 pazienti su 10 soffrono di complicanze renali collegate, ma se ne accorgono quando è troppo tardi, perché il rene soffre in silenzio, tanto è vero che la compromissione delle sue funzioni spesso si scoprono con un esame delle urine. Per questi pazienti in Italia è disponibile belimumab, un anticorpo monoclonale sviluppato da Gsk, con una indicazione che segna un punto di svolta nel trattamento del Les.
Si tratta del primo farmaco disponibile per questa patologia dopo cinquant’anni di incessanti ricerche (in assenza di sostanziali terapie specifiche) che può essere somministrato in caso di nefrite lupica. Parliamo di una malattia autoimmune cronica e debilitante. Istintivamente si pensa al lupus per le lesioni infiammatorie a carico della cute e delle articolazioni, ma i processi flogistici possono aggredire qualsiasi organo o tessuto, tanto è vero che i reni sono pesantemente sotto attacco.
«La glomerulonefrite lupica – afferma Stefano Bianchi, presidente della Società italiana di nefrologia (Sin) – è la forma più diffusa e grave dell’interessamento renale del lupus, presente in oltre 40% dei pazienti.
Può causare insufficienza renale, con necessità di ricorrere alla dialisi, talvolta addirittura si richiede il trapianto di rene. Riconoscere prima possibile questa condizione è decisiva per giungere a trattamenti mirati, nell’interesse del paziente». La nefrite lupica spesso è silente, insidiosa, e deve sempre essere ricercata, fin dal momento della diagnosi di Les.
«Per questo è necessario che reumatologo e nefrologo – sottolinea Gian Domenico Sebastiani, presidente Società italiana di reumatologia (Sir) – gestiscano assieme il paziente con Les, e che questa presa in carico avvenga per quanto possibile in centri di eccellenza, che seguono numerosi pazienti e hanno esperienza e conoscenza per gestire al meglio le opportunità di cura e l’accesso all’innovazione, rappresentata da farmaci come belimumab, così da prevenire o rallentare il danno d’organo».
I dati clinici denotano un elevato profilo di efficacia e sicurezza, per questa ragione lo specialista può impiegare la molecola in base alle caratteristiche e alle necessità del paziente. «Con la disponibilità di un farmaco biologico per il lupus, studiato espressamente per la nefrite lupica – conclude Rosa Pelissero, presidente del Gruppo Les – si rende più che opportuno l’inquadramento precoce e una diagnosi precisa, un percorso direi necessario al fine di ottenere il trattamento più appropriato presso centri di eccellenza, dove reumatologo e nefrologo lavorano a stretto contatto l’uno con l’altro».
Belimumab è una terapia per il lupus capostipite di una nuova classe di farmaci, gli inibitori BlyS-specifici. Viene somministrato endovena o sottocute, ed è prodotto nello stabilimento Gsk di Parma, centro di eccellenza mondiale per la produzione di antivirali e anticorpi monoclonali (dal quale esce anche sotrovimab, impiegato nella malattia da Sars-Cov2).
La nuova indicazione al trattamento con belimumab nella nefrite lupica scaturisce dei risultati di Bliss-Ln, il più lungo e ampio studio di fase III sulla nefrite lupica attiva. Questo trial clinico ha evidenziato come, nell’arco di due anni, belimumab aggiunto alla terapia standard ha incrementato i tassi di risposta renale positiva alle terapie e ha contribuito a prevenire il peggioramento della malattia renale nei soggetti con nefrite lupica attiva rispetto alla sola terapia standard.